Il rapporto Ue sulla violenza ostetrica.
L’Italia, con il 21 per cento dei casi, è il Paese europeo con il più basso numero di episodi di violenza ostetrica ai danni delle partorienti tra il 2017 e il 2022. È uno dei principali risultati del primo rapporto dell’Unione europea sul problema della violenza ostetrica negli Stati membri, e le possibili risposte, coordinato da Patrizia Quattrocchi dell’Università di Udine.
Cos’è la violenza ostetrica.
Per violenza ostetrica si intende il maltrattamento fisico e verbale subito dalle partorienti. Un insieme di atti, comportamenti e omissioni che oggi sono riconosciuti internazionalmente come violenza di genere e violazione dei diritti umani. La professoressa Quattrocchi è docente di antropologia medica del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Ateneo friulano. L’indagine è stata richiesta dalla Commissione europea ed è intitolata “Obstetric Violence in the European Union: Situational analysis and policy recommendations”
“Il termine violenza ostetrica – spiega Patrizia Quattrocchi – non è accusatorio rispetto ai singoli professionisti della salute, che certamente fanno del loro meglio con gli strumenti a disposizione, ma identifica una serie di criticità strutturali dei nostri modelli assistenziali, spesso eccessivamente medicalizzati e poco attenti ai bisogni delle donne, in particolare di tipo relazionale o emotivo”.
I risultati del rapporto.
Lo studio è frutto di una raccolta dati effettuata tra il 2022 e il 2023 nei 27 Paesi membri. Per la prima volta presenta una panoramica delle principali forme di violenza ostetrica subite dalle donne nei servizi di assistenza al parto e alla nascita in Europa. Contiene anche quattro casi studio riguardanti Francia, Paesi Bassi, Slovacchia e Spagna. Delinea inoltre le buone pratiche e le principali iniziative politiche e sociali attuate nei diversi Paesi per contenere questo fenomeno. Offre infine delle raccomandazioni alla Commissione europea e agli Stati membri.
Non tutti i Paesi europei dispongono di dati e l’indagine ha raccolto quelli (quantitativi e qualitativi) di 16 Paesi dell’Unione. Da questi emerge che la percentuale di donne partorienti che ha subito subito una o più forme di violenza ostetrica va dal 21 per cento dell’Italia all’81 della Polonia.
Le forme più comuni di violenza ostetrica in Europa sono: la mancanza di consenso, gli abusi verbali (per esempio infantilizzazioni e discriminazioni), fisici (manovre ed episiotomie non necessarie, esplorazioni vaginali non consentite o eccessive e altro) e la mancanza di comunicazione e di supporto (informazioni insufficienti o non adeguate, mancanza di assistenza emotiva). Inoltre, sono risultate diffuse negli Stati membri l’eccessiva medicalizzazione e le pratiche cliniche che non si fondano sulla medicina basata sull’evidenza (per esempio eccessivo ricorso al taglio cesareo, all’episiotomia, all’induzione).
Emerge anche che tutte le donne, indipendentemente dallo status economico, livello di istruzione o background socioculturale, sono a rischio di violenza ostetrica. Alcune incorrono maggiormente in trattamenti abusivi e non rispettosi. Per esempio le migranti, le appartenenti a minoranza etniche, le disabili e quelle che vivono in condizioni di indigenza.
In 12 Paesi si registrano 22 casi di denuncia legale di episodi di violenza ostetrica. Alcuni sono stati portati all’attenzione della Corte europea dei diritti umani e al Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne delle Nazioni unite (Cedaw). In 12 Stati, tra il 2017 e il 2022, si sono svolte 28 esperienze formative per i professionisti della salute che avevano per oggetto specifico la violenza ostetrica. In 7 paesi queste esperienze sono inserite nei percorsi accademici istituzionali. I paesi più virtuosi sono la Francia, i Paesi Bassi e la Spagna.
Dal punto di vista legislativo, in cinque Paesi – Italia compresa, con la proposta di Legge Zaccagnini del 2016, che non ha trovato seguito – vi sono proposte di legge per definire la violenza ostetrica. L’unico Stato ad aver legiferato è la Spagna (comunità autonome di Catalogna, Paesi Baschi e Valencia).
Buone pratiche si registrano in diversi paesi, anche in ambito sanitario. In Catalogna, la Società catalana di ginecologia e ostetricia ha attivato un gruppo di lavoro sulla violenza ostetrica e in alcuni ospedali sono nati delle Commissioni per monitorare la violenza ostetrica.
“Ora abbiamo finalmente una panoramica della situazione nei Paesi europei che ci indica anche le mancanze – sottolinea la professoressa Quattrocchi –. In particolare la necessità di definire strumenti standardizzati per poter comparare i dati nei diversi Stati. Ci auguriamo che questo report sia portato all’attenzione dei governi, delle istituzioni sanitarie e degli organi professionali, anche in Italia. Ora non si può più affermare che in Europa il fenomeno non esiste: dobbiamo prendercene carico e identificare dispositivi, legislativi e formativi per esempio, per contenerlo“.
Il report è stato presentato ai funzionari della Commissione europea ai più importanti portatori d’interesse europei, tra cui le società scientifiche di ginecologia e ostetricia. L’iniziativa è infatti parte della European Commission ‘Gender Equality Strategy 2020-2025’. Ora i risultati del report e dei quattro casi studio saranno presentati nei diversi Paesi. Continuerà inoltre il dialogo con gli organismi sovranazionali e i referenti delle società scientifiche del settore. In questo contesto opera anche il progetto internazionale coordinato dall’Ateneo friulano “IPOV-Respectful care” di cui è responsabile scientifica Patrizia Quattrocchi. Il progetto, finanziato dall’Unione Europea, riunisce un partenariato di 19 istituzioni in nove paesi e un team di 40 esperte e professionisti della salute.