Progetto contro la violenza ostetrica.
La violenza ostetrica, cioè il trattamento fisico e verbale non rispettoso subito dalle partorienti nelle strutture sanitarie, è il tema di un progetto internazionale quadriennale vinto e coordinato dall’Università di Udine e finanziato con 598mila euro dall’Unione europea.
Campo d’azione della ricerca sarà l’Europa e l’America Latina. L’Ateneo friulano guiderà un partenariato di 19 istituzioni di nove Paesi, sei europei e tre latinoamericani. Responsabile scientifica della ricerca è Patrizia Quattrocchi, docente del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale, esperta di antropologia medica.
Da anni Quattrocchi studia le politiche del parto e della nascita in vari contesti e guiderà un team di 39 specialisti, tra cui ricercatrici e docenti, professionisti della salute e membri di organizzazioni civili. Il progetto vinto dall’Università di Udine, intitolato “Obstetric Violence (IPOV): an innovative tool for a respectful maternity and childbirth care”, rientra nel programma europeo Horizon–Marie Sklodowska Curie Actions.
Il principale obiettivo dell’iniziativa è realizzare una piattaforma digitale internazionale, interdisciplinare e intersettoriale. Uno strumento che connetta ricerca, formazione innovativa dei professionisti della salute – basata su prospettiva di genere e diritti umani – e politiche pubbliche attente alla prospettiva delle donne e della società civile. La piattaforma metterà a disposizione un’ampia gamma di esperienze, frutto del trasferimento di conoscenza tra i membri del team.
“Lo scopo – spiega Quattrocchi – è contribuire al dibattito sociale, politico e medico su questo tema, considerato dall’Organizzazione mondiale della sanità un rilevante problema di salute pubblica e alla costruzione di un’alleanza tra comunità scientifica, professionisti della salute, decisori politici, donne e società civile, per ripensare le modalità di un atto fondatore per eccellenza: come veniamo al mondo”.
Il ruolo dell’Università di Udine.
L’Ateneo friulano, che ha una quota di finanziamento di 132mila euro, è impegnato con un gruppo di ricerca interdisciplinare. Oltre a Patrizia Quattrocchi ne fanno parte Valeria Filì e Anna Zilli del Dipartimento di Scienze giuridiche e Antonina Dattolo del Dipartimento di Scienze matematiche, informatiche e fisiche.
L’equipe udinese lavorerà, in particolare: alla progettazione e all’implementazione della piattaforma digitale, alla sistematizzazione di buone pratiche (dalla revisione della letteratura, fino all’identificazione di strumenti per rilevare atti di violenza, compresi quelli legislativi), alla formazione dei professionisti della salute e al coinvolgimento delle donne e delle famiglie.
“La rilevanza del progetto – spiega la professoressa Quattrocchi –, che invita a riflettere sulla dimensione sistemica e strutturale della violenza ostetrica, definita nella letteratura internazionale una violenza di genere, istituzionale, e una violazione dei diritti umani parte di un modello assistenziale sempre più interventista, rimanda al crescente interesse mostrato anche dalle istituzioni europee”.
La violenza ostetrica.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ritiene che molte donne – in tutti i Paesi, ad alto, medio e basso reddito – subiscano trattamenti abusivi e non rispettosi durante l’assistenza alla nascita nelle strutture ospedaliere: dalla mancanza di consenso informato all’abuso di manovre, induzioni ed esplorazioni vaginali. Tuttavia non c’è un accordo internazionale su come misurare la violenza ostetrica nei diversi Paesi e i dati sono difficilmente comparabili.
Gli studi mostrano che una percentuale di donne intervistate tra il 21 per cento in Italia e l’84 per cento in Polonia dichiara di aver subito almeno una forma di violenza ostetrica durante l’assistenza al parto. Le forme più comuni riscontrate in Europa sono l’abuso fisico, l’abuso verbale e la mancanza di consenso.
I dati mostrano inoltre che tutte le donne, di qualsiasi ceto sociale e nazionalità, sono a rischio di subire violenza ostetrica nel 27 Paesi membri dell’Unione europea. Alcune donne, però, come migranti, appartenenti a minoranze, troppo giovani o troppo “anziane”, disabili o con basso livello educativo, sono ancora più a rischio. Seppure si contino diverse proposte di legge per definire e combattere il maltrattamento e la mancanza di rispetto durante il parto, finora soltanto la Spagna ha definito tale tipo di violenza in tre Comunità autonome: Catalogna, Paesi Baschi e Valencia.
Il 6 novembre scorso è stato presentato a Bruxelles lo studio “Obstetric in the European Union: Situational analysis and policy recommendations”, voluto dalla Commissione europea e preparato da Patrizia Quattrocchi. Il lavoro fotografa la situazione dei 27 Paesi dell’Unione e presenta delle raccomandazioni agli Stati membri per contenere forme di violenza diversificate, ma troppo diffuse e “normalizzate”.
Partecipano al progetto, oltre all’Università di Udine: per la Spagna, l’Universitat Rovira I Virgili (Tarragona), l’Universidad de Granada, l’Universidad Complutense (Madrid), la Fundació Hospital Universitari Vall d’Hebron – Institut de Recerca (Barcellona), la En Positivo Comunicación y Diseño Social para Ongs, l’Observatorio de Violencia Obstetrica; per la Francia l’Institut National d’Études Démographiques; per la Norvegia, la Universitetet i Søraust-Noreg; per il Regno Unito la University of Durham; per il Portogallo l’Instituto Universitário (Lisbona) e Gimnográvida – Preparação Para Parto e Maternidade; per l’Italia Istituto Burlo Garofolo di Trieste, la Scuola elementare di arte ostetrica di Firenze; per l’Argentina, la Universidad Nacional di Entre Ríos, la Municipalidad de San Isidro-Hospital di San Isidro, l’Asociación Civil Argentina de Puericultura; per il Costa Rica la Universidad de Costa Rica; per l’Uruguay l’Universidad de La República di Montevideo.