Udine celebra i Santi Patroni Ermacora e Fortunato

Le celebrazioni a Udine per i Santi Patroni Ermacora e Fortunato

Il Duomo di Udine, gremito di fedeli, autorità civili e militari, nonché di numerose associazioni e del sindaco Alberto Felice De Toni, ha fatto oggi da sfondo alla solenne celebrazioni in onore dei santi Ermacora e Fortunato, patroni della città e della diocesi. L’arcivescovo di Udine, monsignor Riccardo Lamba, ha presieduto per la prima volta questa liturgia, in qualità di successore di Ermacora, primo vescovo della città.

Durante la sua omelia, l’arcivescovo Lamba ha richiamato l’attenzione dei presenti su un messaggio di profonda riflessione e spiritualità, invitando tutti a guardare dentro se stessi con umiltà. Citando le parole di Gesù, ha esortato i fedeli a non concentrarsi sulle piccole colpe degli altri, rappresentate dalla pagliuzza negli occhi altrui, ma piuttosto a riconoscere e affrontare i propri difetti, la trave nei propri occhi. Questo invito alla consapevolezza personale e alla crescita spirituale è stato accompagnato da un riferimento alla parabola della vite e dei tralci: “Rimanete in me e io in voi”, ha detto l’arcivescovo, sottolineando l’importanza di mantenere una stretta unione con Cristo per poter vivere una vita piena e fruttuosa.

L’omelia dell’arcivescovo di Udine.

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

la pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato appartiene al capitolo 15 del Vangelo di Giovanni: siamo al centro del discorso che Gesù sta facendo nell’Ultima cena, poche ore prima di essere arrestato e di andare incontro alla sua passione e morte.

Come sappiamo, è un discorso lungo e articolato nel quale Gesù, oramai al termine della propria esistenza, avendo compiuto la missione affidatagli dal Padre, parla ai suoi discepoli con chiarezza, senza giri di parole e non più in parabole per dire quello che è stato il “senso” della sua vita, di ciò che lo aspetta, ma anche di ciò che Lui si aspetta dai suoi discepoli e quindi anche da noi.

Pochi versetti prima di quelli che abbiamo appena ascoltato, Gesù rivolgendosi ai discepoli ha detto: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,12-13). E ancora prima: «Io solo la vite e voi i tralci. Chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano» (Gv 15,5-6).

Credo che la pagina del Vangelo che è stata proclamata oggi in occasione della solennità dei nostri Santi Patroni, se non tenesse conto dei versetti che la precedono e che ho appena ricordato, potrebbe esporsi al rischio di una interpretazione parziale e riduttiva, che non di rado abbiamo sentito anche nelle nostre comunità: “Ecco, questa è la conferma che nel mondo non c’è più fede. Il mondo ce l’ha con la Chiesa e non perde occasione per attaccarla e ridicolizzare i suoi ministri ed i credenti in genere”.

Non ci vuole una laurea in teologia pastorale per giungere a dire, con San Paolo, che i valori del Vangelo sono «scandalo per il Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor 1, 23) o che è più facile, come dice Gesù «guardare la pagliuzza nell’occhio dell’altro piuttosto che la trave nel proprio occhio» (cfr. Mt 7,3)!

Non ci vogliono due lauree in psicologia ed in sociologia per capire che tutti noi siamo più inclinati a fare scelte che ci facciano acquisire “posizioni” di visibilità, di successo, di potere, piuttosto che di nascondimento, di umiltà, di servizio.

Credo però che questa interpretazione del Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, potrebbe rischiare di essere riduttiva, “lamentosa”, parziale, se non la leggiamo nel contesto di tutto il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni, dove c’è un duplice richiamo, chiaro ed esplicito: sulla necessità prioritaria di rimanere uniti a Gesù Cristo come i tralci alla vite per portare frutti di vita vera anziché di lasciare rinsecchire la nostra vita e quindi di bruciarla e sulla bellezza di “appartenere” a Cristo e alla Chiesa, come fonte di gioia vera, credibile, comunicabile!

Da qui nascono alcune domande:

Io sono “sostanzialmente” e non solo “formalmente” unito a Gesù Cristo?

Che cosa faccio ogni giorno per essere e rimanere sostanzialmente unito a Gesù Cristo?

Qual è il mio senso di appartenenza alla Chiesa locale, alla Diocesi, al territorio in cui il Signore mi ha chiamato ad essere?

Come coltivo questo senso di appartenenza?

Da questa comunione sempre da rinnovare con Cristo e con la Chiesa sto sperimentando personalmente e sta sgorgando una gioia di esistere e di credere, percepita tangibilmente da coloro con cui mi relaziono?

Come vivo le reali e frequenti difficoltà ed ostacoli che incontro nel vivere e testimoniare i valori della fede, della vita, della famiglia, della giustizia, della solidarietà?

«Un servo non è più grande del suo padrone», dice Giovanni (15,20). Ma Sant’Ignazio di Loyola direbbe: «Che onore è essere servi inutili (cioè senza guadagni facili e personali) di così grande padrone come il Signore Gesù!»

Celebrare i martiri Ermacora e Fortunato, patroni della nostra Chiesa, le cui radici sono in Aquileia, significa ricordare, anche a noi e a quanti desiderano essere discepoli di Gesù Cristo, che quando ci poniamo alla Sua sequela, prima o poi, in un modo più o meno esplicito, si pone la questione della fedeltà a Gesù Cristo senza compromessi, ma anche senza “lagne”, proprio come loro, i Santi Patroni, l’hanno vissuto.

Solo così anche noi oggi potremo raccogliere il testimone della fede, passato attraverso il crogiuolo del martirio di sangue, che ha generato alla vita nuovi cristiani, perché la “vita” che loro hanno trasmesso è la stessa che avevano ricevuto da Gesù Cristo nel mistero Pasquale, la stessa vita che anche noi possiamo già sperimentare sin dal giorno del nostro Battesimo. Quel testimone potremo così trasmetterlo con gioia e speranza alle generazioni dopo di noi.

Il discorso del sindaco di Udine.

Care concittadine e cari concittadini,

oggi ho l’onore di rappresentare per il secondo anno la nostra città nelle celebrazioni dei santi Ermacora e Fortunato, i Patroni della nostra amata città e di tutto il Friuli. Il 12 luglio è una giornata speciale per Udine, di nuovo un’occasione speciale per riflettere sulla loro vita tra datazioni certe e leggenda, sulla loro storia e sul significato che questa ha avuto e ha oggi per la nostra comunità, la nostra terra e la nostra cultura.

Ermacora e Fortunato sono considerati i primi vescovi di Aquileia, scelti direttamente da San Marco, mandato da San Pietro a evangelizzare il nord Italia. Si ritiene infatti che la sede patriarcale abbia origine proprio dal passaggio dell’evangelista proveniente da Alessandria d’Egitto. La nostra tradizione evidenzia come questa evangelizzazione, anche e soprattutto per il messaggio diffuso da Ermacora e Fortunato, seppe diffondersi nelle aree a noi contermini, oggi territori di cultura e tradizioni diverse, ma legate a noi da vicende importanti che affondano profonde radici nella storia. Una visione universalistica, un messaggio di unione.
Non è un caso, infatti, che Ermacora e Fortunato siano i patroni non solo di Udine e del Friuli, ma anche di altre 12 città nel nordest in Italia e di 5 città estere in Slovenia, Austria e Croazia. Lubiana in Slovenia e Hermagor in Austria ne sono un esempio.

Quella di Ermacora e Fortunato, tra le prime figure cristiane nei nostri territori e personaggi che nella nostra tradizione hanno segnato di fatto l’inizio del culto cristiano nel nord est, è una storia con un’eredità ricca di significati e di simbologia.

Le loro vicende prendono inizio da una scelta di fede, un primo atto di lealtà alla parola cristiana che ha posto i mattoni per quella che è diventata successivamente la Patrie dal Friûl e che ha fatto di questa ricorrenza uno degli eventi più sentiti a Udine, ma anche nel resto del territorio friulano. La nostra comunità è da sempre profondamente legata ai valori della cristianità, il Friuli è terra di un popolo che ha saputo, decennio dopo decennio, fare unione intorno all’Arcidiocesi udinese.

Udine è una città che ha vissuto momenti di crescita e benessere, ma anche periodi difficili, da cui ha saputo sempre rialzarsi.

Gli ultimi anni ci hanno visto alle prese con enormi difficoltà, momenti in cui è stato difficile mantenere coesione. Oggi stiamo ancora parlando di guerre in corso alle porte d’Europa e in Medio Oriente, conflitti che hanno diviso l’informazione e l’opinione pubblica. La nostra storia invece ci insegna che la forza delle comunità risiede nella nostra capacità di unirci, essere coesi e di costruire insieme un futuro in cui crediamo, soprattutto per i nostri giovani. Questo è un messaggio che ora è difficile da trasmettere, in un momento, come quello che stiamo vivendo, colmo di incertezza, e povero di punti di riferimento sicuri.


In questo poco più di un anno da Sindaco della città mi sono trovato portare la voce dei cittadini in diversi momenti importanti per la nostra comunità. È stato un anno molto proficuo in cui ho avuto modo di conoscere e coinvolgere nell’operato dell’amministrazione tutte le associazioni e le realtà del nostro territorio, con molta attenzione al sociale, alle persone in difficoltà, ai giovani e alle famiglie.

Da qui, con la consapevolezza della forza del messaggio di Ermacora e Fortunato, il nostro impegno nei confronti dei fragili, nel sostegno alle realtà che si impegnano per la comunità, di chi si occupa di tamponare le falle per mantenere la coesione sociale, non può che aumentare.


Come Sindaco di Udine, mi sono impegnato fin da subito per tutelare i diritti di tutti i cittadini udinesi, per rendere la nostra città una realtà a misura di famiglia, per far sì che Udine possa essere sempre più considerata una città inclusiva e solidale, in cui ogni individuo sia rispettato, valorizzato e incluso. Come mi piace ricordare Udine è una città plurale, in cui si mescolano culture, provenienze, lingue e anime diverse. Si sono mescolate in passato, si mescolano oggi e si mescoleranno in futuro, perché siamo stati terra di confine e oggi, un’epoca in cui i confini non esistono più, siamo terra di incroci.