Il premio D’Aronco alla tesi di Matteo Specogna.
Un’idea che recupera il passato, ma lo proietta nel futuro: è il progetto di Matteo Specogna per il recupero degli stavoli delle Valli del Natisone, al centro della sua tesi che ha appena vinto il premio di laurea “Raimondo D’Aronco”.
Allo studente di San Pietro al Natisone, laureato magistrale con il massimo dei voti in Architettura all’Università di Udine, è andato infatti il riconoscimento promosso dall’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Udine, in collaborazione con il Dipartimento Politecnico di ingegneria e architettura dell’Ateneo.
Il premio consiste in un budget di 1000 euro da spendere in viaggi di architettura. La tesi, relatore Francesco Chinellato, è intitolata “Gli stavoli in Friuli e nella vicina Slovenia. Progetto di riconversione dei “seniki” nelle Valli del Natisone, come dimore di cura temporanee a servizio della stazione di terapia forestale“.
La premiazione.
A consegnare il premio a Specogna è stato il presidente dell’Ordine degli architetti, Paolo Bon, assieme al coordinatore dei corsi di studio in Architettura, Alberto Sdegno. Per l’Ateneo erano inoltre presenti il prorettore, Andrea Cafarelli; il direttore del Dipartimento Politecnico di ingegneria e architettura Alessandro Gasparetto, e il presidente della commissione giudicatrice del premio, Giovanni Tubaro.
La tesi.
Gli stavoli, costruzioni rurali alpine presenti in Friuli Venezia Giulia e Slovenia sono costituiti da una singola stanza al piano terra e un sottotetto adibito a camera e fienile. Il lavoro di Specogna vuole essere di stimolo per la valorizzazione del patrimonio di cui si sta perdendo memoria, attraverso la conoscenza del passato, legato alla cultura e all’identità delle genti locali, con uno sguardo rivolto al futuro.
“Ipotizza – spiega Chinellato – una trasformazione delle strutture delle Valli del Natisone, ma tutte le ipotesi di progetto hanno come obiettivo principale la conservazione della preesistenza, con la volontà di preservarne la memoria e, per questo motivo, i nuovi interventi vogliono essere perfettamente riconoscibili rispetto alla forma e al materiale impiegato”.
Alla base di un’ipotetica nuova vita di queste costruzioni, però, “c’è la consapevolezza che le stesse non potranno essere riportate tutte alla loro funzione primigenia, ma dovranno avere una nuova destinazione d’uso – evidenzia il relatore –, in relazione alle nuove necessità e con i progetti che coinvolgono ad ampio respiro tutto il territorio e, in particolare modo, l’ambiente, per cui, l’intervento fatto in sinergia con la “terapia forestale” consente l’occupazione costante degli alloggi”.