Lo sfogo del controverso artista Simone Mestroni.
Non ci sta, e passa al contrattacco. Simone Mestroni, artista e inventore della “Città della poesia” che con i suoi murale ha colorato e donato un altro volto a Udine, è stanco di etichette. E, soprattutto, non ci sta a essere chiamato “fascista picchiatore“.
Murale imbrattato a Udine, quel passato scomodo dell’artista Mestroni.
E così, ora Mestroni racconta la sua verità. “Non è sempre motivo di vanto il fatto di metterci la faccia nella vita, ma nella mia l’ho sempre fatto. Ho trentadue anni ed ho spesso creduto in qualcosa che col tempo si è rivelato essere un’ illusione, una cattiva strada ed una sporca bugia.
Sono cresciuto col libero arbitrio di inseguire “il mito di Via Riccardo Di Giusto“, sola ed unica zona udinese che abbia mai frequentato, aderendo poi, verso i sedici anni, ai movimenti giovanili estremi del tifo calcistico e della politica; quest’ultima, dapprima, come “cane sciolto”. L’identificazione con qualcosa di radicale, il senso di appartenenza e la voglia di vivere situazioni forti legano a triplo filo questi contesti che mi sono appartenuti“.
Il racconto di vita prosegue con un altro capitolo. “Dai quattordici ai ventidue anni ho spesso avuto degli “incidenti di percorso”, due dei quali conclusisi al carcere di Via Spalato. Questa lettera – sottolinea Mestroni – si rivolge a tutti e a nessuno in particolare ed è doverosa per tentare di farvi riflettere rispetto a tutta una serie di infamie e diffamazioni di cui sono stato oggetto in questi anni. Più volte sulle mie opere (realizzate su commissione), specie su quella di Pasolini, è apparsa la scritta “Mestroni picchiatore fascista“, accompagnata poi su Facebook da commenti che ne giustificherebbero il motivo”.
L’artista ricorda un momento “scomodo” del suo passato. “In questi anni di forte cambiamento personale mi è capitato di ripensare a quella sera del 2008 quando, diciannovenne, venni arrestato con un amico perché aggredimmo due ragazzi in Via Delle Ferriere. Avrei volentieri chiesto scusa, per quel che possa servire, perchéad oggi ne riconosco tutta l’imbecillità e la gravità. Pare inoltre che quei ragazzi fossero omosessuali, ma questo non lo potevo sapere e lo apprendo oggi dai social, sempre sia vero, a distanza di tredici anni (quei ragazzi se vogliono mi contattino pure). Alcuni anni dopo entro nella realtà di estrema destra di Forza Nuova, utile se non altro per conoscere e capire dall’interno un panorama tutt’oggi dibattuto. L’ingenua convinzione di poter mantenere fedeltà ad un’idea per la vita si sgretola nel 2015/16, quando lascio il partito per incompatibilità personale e perché cominciavo a rendermi conto di quanto i giovani, di ogni ideale politico, possano essere raggirati da venditori di fumo. Ho creduto fortemente a tutti i miei passaggi di vita, ma solo quando si esce “dalla caverna di Platone” si può trarre le conclusioni rispetto a quello che nella vita si è detto e si è fatto. Generalmente esiste un’ età di riassestamento, dove i furori e la stupidità dell’estrema gioventù fanno spazio a quell’ embrione di saggezza che, si spera, accrescerà nella vita, abbandonando pian piano ogni infantile cialtroneria”.
Si va verso i giorni nostri. “Città della poesia, i poeti che vedete dipinti su muri e serrande del territorio, è stata la cenere dalla quale sento di essere rinato; la sfumatura che consegna il mio spirito da un momento della vita ad un altro. Nessuno può conoscere il rapporto intimo che c’è tra il mio passato e quello che sono oggi. La persecuzione che ho subito in questi tre anni da una fazione marginale di antifascisti, (quelli onesti, la maggioranza, hanno sempre solidarizzato con me) è un atto meschino e diventa brutale nel momento in cui ci si sente etichettati per qualcosa di anacronistico, che non sentiamo più nostro e che a dire il vero non ho mai sentito mio, nonostante le apparenze contrarie”.
“Forse l’errore più grande – conclude Mestroni – è stato quello di tenere per me la sensibilità, oggi dimostrata, e sfoggiare pubblicamente tutta una serie di comportamenti conformisti atti anche a compiacere terze persone.
Non chiedo a nessuno di finirla con questa sorta di operatività da giuria di invisibili che decreta chi può o non può essere accreditato a comunicare, a fare arte eccetera, ma semplicemente avevo qualcosa da dire a chi non mi conosce al di là della cronaca. La coscienza poi, è un fattore personale e sta al lettore credere alle mie parole“.