La battaglia legale seguita alla morte dell’ex presidente dell’Ordine de medici di Udine Luigi Conte.
L’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale ha tentato di appellarsi alle aspettative di vita limitate del paziente e alle presunte inesattezze nel calcolo del danno patrimoniale riconosciuto alla vedova, ma senza riuscirci. La sentenza originale che l’aveva condannata al risarcimento integrale dei danni agli eredi, per un importo totale di quasi un milione di euro, è stata confermata senza modifiche.
La battaglia legale seguita alla morte del chirurgo ed ex presidente dell’Ordine dei medici di Udine, Luigi Conte, deceduto il 2 febbraio 2017 all’età di 69 anni durante un intervento di by-pass coronarico, ha visto la sconfitta anche della seconda fase per l’Azienda sanitaria.
Il tecnico perfusionista dell’équipe medica del “Santa Maria della Misericordia”, responsabile dell’operazione, ha concluso una patteggiamento della pena (un anno e nove mesi di reclusione, sospesi con la condizionale). Nonostante i tentativi di mediazione falliti, la famiglia del defunto (composta dalla moglie e dal figlio, entrambi medici) ha dovuto avviare una causa civile.
L’Azienda sanitaria nega ogni responsabilità.
L’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale ha continuato a negare ogni responsabilità del personale sanitario, cioè dei suoi dipendenti, e ha contestato la pericolosità dell’intervento di by-pass, che il giudice del tribunale di Udine ha definito come un intervento ormai considerato di routine.
Le cause della morte sono state confermate come dovute a un errore nell’allestimento della macchina cuore-polmone: è stato riscontrato un’inversione del tubo collegato al vent aortico, che invece di aspirare il sangue ha pompato l’aria nella circolazione arteriosa del paziente.
Pertanto, come ha affermato la presidente del collegio triestino, non ha senso stabilire quanto tempo avrebbe vissuto il paziente se l’errore non fosse avvenuto e, di conseguenza, non è giustificato ridimensionare il danno. Questo è esattamente ciò che l’avvocato Campeis aveva sottolineato al termine del processo.