Si chiude Open Dialogues 2024.
Si è conclusa con l’entusiasmo e l’ottimismo dei giovani la seconda edizione di Open Dialogues for the Future, il forum ideato dalla Camera di Commercio Pn-Ud con The European House – Ambrosetti e la direzione scientifica di Federico Rampini che ha portato Udine al centro del dibattito sul futuro, passando attraverso l’analisi geopolitica e l’economia internazionale in un confronto a più voci fra esperti, analisti, docenti, imprenditori e autorità. Un evento che anche quest’anno è stato sold out in tutti gli incontri proposti, e che si è aperto alla città, ospitato nella sede camerale, ma anche nel prezioso palazzo della Fondazione Friuli, nel Salone del Parlamento del Castello e, per il gran finale di oggi pomeriggio (venerdì 8) nella Chiesa di San Francesco, mettendo a valore il supporto di Regione Fvg, Comune di Udine, Fondazione Friuli e il patrocinio del Ministero delle imprese e made in Italy e Unioncamere.
E come ha preannunciato il presidente Cciaa Giovanni Da Pozzo nel trarre le conclusioni “da domani cominceremo già a lavorare alla terza edizione, vista la grande presenza di pubblico e l’interesse che abbiamo raccolto da ospiti e partecipanti”. Magari, ha chiosato Rampini, “aggiungendo nuovi focus a quelli introdotti quest’anno sugli Stati Uniti, la Cina e la Germania in particolare, prendendo ispirazione dai tantissimi rivoli che le conversazioni dei nostri panel hanno introdotto, come l’Arabia e gli Emirati, come il Brasile o l’India. Udine si è confermata, come dall’intuizione del presidente Da Pozzo, il luogo giusto per parlare di questi temi. Il Fvg ha nel suo dna l’esportazione, l’investimento estero, l’internazionalizzazione, siamo all’incrocio fra tre imperi: siete abituati a confrontarvi con frontiere mobili e con sfide che vengono da lontanissimo”, ha evidenziato Rampini, ripercorrendo i grandi temi trattati in questa edizione e in particolare quegli Stati uniti che sono oggi sua casa, “dove, se la politica è in mano a due ottuagenari, l’economia è giovane e corre”.
L’economia e i giovani.
E proprio l’economia giovane e innovativa sono state il cuore dell’appuntamento conclusivo, introdotto dal vicesindaco Alessandro Venanzi e dal videomessaggio del commissario europeo per l’innovazione Iliana Ivanova. A intervenire, moderati dal coordinatore del programma di Odff Filippo Malinverno di Ambrosetti, sono stati Alessandro Tommasi, fondatore di Will Media, piattaforma tecnologica di dialogo con i giovani, e Virginia Tosti, cofondatrice start2impact University, nonché, in collegamento, Serenella Sferza (codirettrice programma Mit-Italy) e Niccolò Calandri (ceo di 3bee, startup fondata proprio in seguito alla partecipazione del programma Mit-Italy, a completamento di un dottorato al Politecnico di Milano). A corredo, il videomessaggio di Dante Roscini dell’Harvard Business School, che ha evidenziato le differenze del sistema dell’istruzione e alta educazione negli States.
“Il clima generale e la narrazione di questo momento ci fanno percepire incertezza, ma le nostre generazioni hanno possibilità incredibili: accedere alle informazioni, viaggiare e avere a disposizione tecnologie in continua evoluzione per ogni tipo di applicazione. È una cosa fantastica, che ci deve dare ottimismo”, ha esordito Tommasi, che con Will Media parla a una community da 2 milioni al giorno di 18-25enni, affrontando temi di attualità, innovazione, tecnologie attraverso gli strumenti digitali con cui le informazioni sono da loro fruite. “Le generazioni più giovani, ma anche quella dei quarantenni – ha aggiunto –, creano oggi le abitudini di consumo e informazione in grado di cambiare le agende politiche. E si informano, solo con modalità diverse da quelle tradizionali». Se può essere vero che l’informazione più estemporanea non permetta di approfondire alcune tematiche, è vero anche, per Tommasi, «che i social media non sono il problema, il problema sono i contenuti e il rischio di diffusione, rapidissime e su larga scala, che oggi le fake news hanno, pur esistendo da sempre. I giovani più di tutti hanno bisogno di acquisire le skill che diano loro la capacità di discernere l’affidabilità delle fonti e il nostro compito è creare questa consapevolezza, facendo community”.
E infatti, gli ha fatto eco Virginia Tosti, “ai nostri studenti diciamo che non è l’era delle conoscenze, ma delle competenze, perché le conoscenze sono alla portata di tutti: noi semplicemente tracciamo una strada, con il motto impara a imparare”. Piuttosto, continua a mancare un aiuto ai giovani a capire quali sono i propri talenti e la propria strada, “come è mancato a noi e ancor più ai nostri genitori”, ha aggiunto Tosti. Un potenziale di cui si rischia di non accorgersi e che può portare a sprecare l’occasione di scoprire e realizzare i propri sogni. “Aiutiamo i ragazzi – ha detto Tosti – a capire le cose in cui riescono a eccellere. Non necessariamente una strada giusta è giusta per tutti e non sempre tutte le opportunità e le professioni sono conosciute dai giovani. Perciò andiamo nelle scuole a presentare mondi del lavoro che spesso sono inusuali, strade non note, dove ci sono enormi possibilità di realizzarsi nel lavoro, professionalmente”.
Tommasi ha anche evidenziato come “gli schemi verticistici non funzionano più, anche perché ci sono profili di formazione non lineari come un tempo e si producono professioni non sempre codificate. Tommasi ha anche evidenziato come oggi, soprattutto in ambito innovativo, siano gli imprenditori a dover convincere i giovani a lavorare per loro. E per lui è uno stimolo: «è faticoso ma è sempre interessante perché all’imprenditore insegna sempre qualcosa in più”.
Dal dibattito è poi emerso il confronto con gli Stati Uniti, dove soprattutto spicca la capacità di grande integrazione fra capitali pubblici e privati, dunque di grande integrazione tra educazione-formazione e aziende. E se il sistema educativo americano ha un approccio orientato al mercato, porta ampia scelta e sprona una competizione che induce al miglioramento, mettendo anche a disposizione fondi e strumenti indispensabili per la ricerca – cosa che in Italia è molto più difficoltosa, se non impossibile – è anche vero, quanto meno per l’esperienza portata da Niccolò Calandri, che la preparazione delle università italiane è di altissimo valore, paragonabile se non superiore a quella delle migliori università americane.
In Italia però «serve qualcuno che metta a disposizione capacità economica – ha detto –. E al Mit ho anche trovato sempre le porte aperte. Se volevo, come succedeva spesso, usare il laboratorio, lo trovavo aperto anche a mezzanotte. All’interno del campus veniva data fiducia a studenti e ricercatori, e ciò ci permetteva di sentirci sicuri di quello che facevamo. In Italia, al netto dell’ottima formazione, invece, il non poter fare quello che vuoi, e che permetterebbe anche di fare un salto colossale nella ricerca, solo perché ti mancano i fondi è frustrante. È vero però che questa frustrazione ti dà una marcia in più di cercare soluzioni in altro modo».
Sulla fuga dei cervelli, tutti concordi. Uscire è un’esperienza, apre la mente, torni arricchito e riporti quello che hai acquisito in ciò che fai tutti i giorni. La fuga dei cervelli non è preoccupante, se poi alla fine il saldo è positivo e se si riescono ad attrarre giovani talenti, cominciando intanto ad alzare gli stipendi in ingresso e le borse di ricerca.