La testimonianza di un afghano che abita a Udine.
Nelle sue parole, la voce si incrina dall’emozione più volte. Sì, perché Hamid Ahnadzai, 41 anni, a Kabul ha ancora parte della sua famiglia. Lui è arrivato a Udine un decennio fa e oggi lavora come mediatore per conto della Comunità Oikos che si occupa di minori stranieri non accompagnati. Fa anche parte del Consiglio italiano Rifugiati.
Hamid, che gravita attorno all’associazione onlus Ospiti in arrivo di Udine, racconta come si vive, dal Friuli la preoccupazione per i familiari in Afghanistan, alle prese con i talebani che si sono impossessati di Kabul. “La situazione è difficile – sottolinea – e il problema di tanti, là, è che ancora non capiscono bene cosa stia succedendo. I talebani vanno avanti a minacce e violenze. La situazione non è la stessa del 1996″.
Se da Udine segue con apprensione quanto accade nel suo Paese, i patemi sono ancor più grandi perché Ahnadzai ha nella capitale afghana tre fratelli e una sorella. “Uno, Rahman Goul, lavorava per il governo in veste di procuratore e si è dovuto nascondere in casa dopo l’arrivo dei talebani. Lo stesso vale per gli altri, si sono chiusi nelle abitazioni e sono molto spaventati. Escono solo per fare la spesa, poi tornano subito”.
Hamid li sente ogni giorno via messaggi sul telefono, per assicurarsi che stiano bene. “Ma non sono tranquillo – ammette – e se ci fosse un modo, vorrei portarli qua“. Anche lui è rimasto sorpreso dalla piega repentina che hanno preso gli eventi a Kabul: “Nessuno si aspettava che 20 anni potessero essere cancellati in un giorno“, conclude sconsolato.
Come lui, anche i 247 afghani in provincia di Udine (dato Istat aggiornato al 1° gennaio 2020) vivono con preoccupazione l’evolversi degli eventi a Kabul. Perché là ci hanno lasciato un pezzo di cuore e, molto spesso, anche dei parenti. E ora, anche in Friuli si vive col nodo in gola.