Il futuro della medicina a Reana.
Il rapporto tra medico e paziente sarà sempre più “ibrido” ma, proprio per questo più vicino al paziente, soprattutto se residente nelle zone montane. Accanto alle tradizionali e necessarie visite “faccia a faccia”, con le tecnologie digitali si potrà monitorare il decorso, le analisi ed evitare spostamenti per gli infermi e lunghi tempi di attesa. Di queste innovazioni nel campo della salute, ancora non implementate a livello nazionale, si è discusso nei giorni scorsi a Reana del Rojale in un incontro organizzato dalla Società Italiana Telemedicina e presieduto da Paolo Venturini, medico, delegato regionale in Friuli Venezia Giulia.
Le aree alte possono, dunque, diventare il territorio per nuovi servizi, anche virtuali, soprattutto in questa fase post-pandemica. Paolo Fioretti, già primario di Cardiologia dell’ospedale di Udine, è convinto del miglioramento dell’assistenza sanitaria nell’interesse dei residenti in montagna e per i pazienti con difficoltà a spostarsi. “Il sistema da costruire è misto: dopo la classica prima visita, si può procedere con gli strumenti digitali, evitando interruzioni delle cure, ritardi, spostamenti superflui“, dice Fioretti.
Ma in Italia come va? “Ci sono regioni, come l’Emilia Romagna e la Puglia che hanno progetti buoni di telemedicina – secondo Fioretti – adesso però è il momento di un Fascicolo Sanitario Elettronico nazionale, perché far sì che i diversi sistemi regionali dialoghino tra loro”. Dal confronto fra circa 40 medici, professionisti della comunicazione e dell’informatica è emersa la lentezza delle istituzionali nazionali ne rispondere a queste istanze di innovazione, ma la Società Italiana Telemedicina confida in un dialogo più fattivo anche con gli enti locali per un utilizzo efficiente dei fondi del PNRR.
“La telemedicina è tecnologia per la montagna – secondo Roberto Siagri, fisico e presidente del Carnia Industrial Park -. La pandemia ha posto in primo piano il ruolo strategico della medicina 4.0; la telepresenza abbatte il disagio di non vivere nei centri metropolitani”. Del resto, gli strumenti – come la banda larga – già esistono e sono diffusi. Senza dimenticare, infine, di affrontare la questione ‘trattamento dati personali’, ovvero gli open data. Per Siagri “devono essere di libero accesso per chi ne ha competenza e senza limiti regionali, al fine di arrivare a una cartella clinica elettronica che, come la carta d’identità, ognuno di noi porterà sempre con sé”.