La maxi frode fiscale sul traffico illecito di rottami.
Una maxi frode fiscale internazionale dedita al riciclaggio e al traffico illecito. Un patto tra la criminalità italiana e cinese con cui si sono trasferiti, con modalità occulte, 150 milioni di euro nella cina popolare. Una complessa attività investigativa, svolta dalla Guardia di Finanza di Pordenone, su delega della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, che ha scoperchiato un vero fiume di denaro e che ha portato all’arresto di 5 persone e 53 indagati e a disposti sequestri per 66 milioni di euro.
Da dove sono partite le indagini.
Le indagini, avviate nel 2018, chiamate dagli inquirenti “Via della Seta”, hanno preso spunto da evidenze informative attinenti ad anomale movimentazioni finanziarie intercorse tra un’impresa avente sede della Repubblica Ceca ed una neocostituita azienda della provincia di Pordenone. Le successive indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, anche mediante intercettazioni (telefoniche, telematiche, ambientali), pedinamenti occulti, monitoraggi video (aree di stoccaggio, uffici e caselli autostradali) nonché captazioni informatiche, hanno consentito di ricostruire un diffuso e importante traffico di rottami metallici (di disparata origine), avvenuto nel periodo 2013 – 2021, per circa 150.000 tonnellate (pari a circa 7.000 autoarticolati) aggirando gli obblighi ambientali e di tracciatura vigenti, utilizzando fatture per operazioni inesistenti.
Il modus operandi era ingegnoso. In armonia con la legislazione Europea, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una “dichiarazione di conformità”, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso. Laddove ci si trovi, come in questo caso, di fronte ad una cessione “in nero”, la provenienza dei rottami resta ignota, gli stessi non sono tracciabili e, dunque, devono – sempre e comunque – essere considerati “rifiuti” a causa del mancato rispetto delle richiamate disposizioni e, quindi, non sono commercializzabili come rottami metallici. Per ovviare a ciò, gli indagati provvedevano a predisporre fittizie “dichiarazioni di conformità” aggirando, così, le disposizioni di legge e celando la reale origine del materiale.
Specifici approfondimenti investigativi sono stati, inoltre, rivolti alle movimentazioni finanziarie. In una prima fase investigativa, si scopriva come, circa 150.000.000 di euro all’estero da parte dell’organizzazione a favore di società missing trader Ceche e Slovene, vedeva il contestuale ritrasferimento di siffatte disponibilità (sempre mediante sistema bancario) in Istituti di Credito ubicati nella Repubblica Popolare Cinese, nei cui bonifici venivano indicati quali causali “importazioni”, parimenti inesistenti, di acciaio e ferro in Europa dal predetto paese asiatico.
I milioni di euro con la Cina.
Le indagini, specie di natura tecnica, consentivano successivamente di scoprire la natura artefatta di tali operazioni nonché l’esistenza di un accordo tra i referenti del sodalizio criminale italiano e cinesi residenti in Italia. Con un ingegnoso poi, mediante il sistema bancario internazionale, giungevano così i soldi in Cina con modalità occulte aggirando i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio, in relazione sia al tracciamento delle operazioni in capo ai soggetti realmente interessati che alle difficoltà di operare presso istituti di credito con ingenti disponibilità di denaro contante.
Dall’altra parte i membri del sodalizio criminale, grazie ad un sistema di compensazione, ottenevano proprio in Italia quella liquidità cash loro necessaria per retrocedere i pagamenti per le fatture fittizie in precedenza condotti. L’operazione consentiva di individuare l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per complessivi 308.894.000 euro. E l’occulto trasferimento di risorse finanziarie nella Repubblica Popolare Cinese per 150.000.000 euro (originariamente create con provvista in denaro contanti nel territorio na- zionale), schermate da inesistenti operazioni commerciali.
Sono state complessivamente condotte su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, 50 perquisizioni nelle provincie di Udine, Gorizia, Treviso, Padova, Belluno, Verona, Venezia, Brescia e Como. I provvedimenti cautelari personali sono stati interamente eseguiti nei confronti degli indagati mentre sono ancora in corso le misure ablative per le quali sono state già sequestrate disponibilità liquide e beni immobili nonché 3 società, compresi gli spazi aziendali, ubicate nella provincia di Treviso e Belluno a tutt’oggi dedite alla prosecuzione delle attività criminose.