Ha festeggiato 110 anni il 16 luglio Romana Carli. Residente da anni a Velletri, Romana è però nata a Gorizia, con la quale ancora sente un forte legame come ricordano gli amici ed i collaboratori che la assistono. Sono stati proprio loro – una sorta di famiglia allargata – che hanno voluto rendere omaggio ad una donna dalla tempra di ferro, riscoprendo la storia della vita di Romana per festeggiare un compleanno straordinario.
Dunque la mente torna a Gorizia, città di confine per eccellenza. Le indicazioni stradali nei dintorni di quella che fu la Nizza austriaca ricordano incessantemente che la Slovenia è a un passo, e con essa anche l’identità multietnica del capoluogo di provincia. Ma Gorizia è stata, ed è, anche molto altro: simbolo della Grande guerra per i pesanti bombardamenti subiti, cuore della cultura mitteleuropea, luogo natìo di personalità illustri che hanno segnato in particolare la storia del XX secolo. Quanto basta per supportare senza riserve l’attribuzione alla città del blasone di capitale europea della cultura 2025. Un evento che farà riscoprire la storia e l’anima della città, in un singolare confronto con Nova Goriza, anch’essa contitolare dell’iniziativa.
Ritornando ai tre temi guerra – cultura – personalità importanti – tutto ciò sembra essere legato da un filo rosso che si identifica con due persone che, malgrado non si siano probabilmente mai conosciute (forse solo incontrate, chissà )hanno interpretato lo spirito autentico di Gorizia, tenace e artistico. Parliamo per l’appunto della neo supercentenaria Romana Carli e di Cecilia Seghizzi
Romana è nata nel 1914 quando su Gorizia, così come in tutto l’impero Austro ungarico, dominava ancora Francesco Giuseppe. Da bambina, durante la grande guerra, visse il profugato giungendo assieme alla nonna a Pisa. Di animo artistico fin da piccola, durante l’esperienza in toscana ebbe modo di sentire per la prima volta dei canti in chiesa e di lì iniziò a cantare per eventi sempre più importanti. Rientrata a Gorizia dopo la guerra andò a scuola privatamente da quello che era rimasto della nobiltà cittadina (gli austriaci, nel frattempo, se ne erano andati essendo diventata la città italiana). In seguito, anche grazie alla sua bellezza, fece la modella a Trieste e poi – racconta – la comparsa per il Gattopardo.
La seconda, nata nel 1908, era figlia di Cesare Augusto Seghizzi, direttore del Teatro di Gorizia. Profuga in un campo di internamento durante la prima guerra mondiale, dopo un’infanzia traumatica passata dai fasti dell’Impero alla distruzione della sua città, diventò a sua volta direttrice del coro di Gorizia, compositrice, insegnante di piano e pittrice. Si è spenta a 111 anni, nel 2019, non prima di aver lasciato depositati i suoi ricordi in interviste e mostre.
Ripensando alla Gorizia asburgica sembrava restarci solo uno sbiadito ricordo, foto d’epoca consumate dal tempo, dimore signorili completamente ristrutturate dopo i bombardamenti, libri polverosi in cui viene ripercorsa una storia secolare. Con le testimoni Seghizzi e Carli, invece, abbiamo riscoperto un’incredibile ed impensato legame con il presente. Le loro vite straordinariamente longeve non sono solo dei traguardi da “fotonotizia”, bensì ci ricordano quanto poco tempo sia passato da quegli eventi se ci sono ancora persone in vita in grado di ricordarle. Una guerra, la grande guerra, che da un lato ha assegnato la città all’Italia in virtù della lingua prevalentemente parlata, ma dall’altro ha raso al suolo un luogo di confine in cui persone di più etnie non solo convivevano pacificamente ma avevano edificato un vero e proprio centro europeo della cultura. In questo senso Romana e Cecilia sono forse una sorta di traghettatrici della Gorizia asburgica nella Gorizia che si avvia, nuovamente, a diventare capitale europea della cultura assieme a Nova Goriza. Nel segno della musica e del canto, ca va sans dire.
“È stato emozionante conoscere la storia di Romana – ha commentato Fabrizio Oreti – assessore alla cultura di Gorizia, perché testimonia come c’è un ponte tra il passato, il presente e certamente il futuro. La sua storia testimonia l’importanza della nostra città nel passato che resta fedele alle tradizioni ma mai, come in questo momento, il nostro territorio è proiettato nel futuro, verso la capitale europea della cultura che vuol dire essere testimoni delle storie come quella vissuta da Romana assieme a Cecilia. Sono contento di aver ricevuto la notizia del compleanno della signora Romana, alla quale scriverò per inviare un caloroso saluto. Se mai potrà raggiungerci, la nostra città la aspetta a braccia aperte” ha concluso l’assessore.
I ricordi di Romana Carli.
A fine aprile 2023 Romana Carli aveva rilasciato anche un’ Intervista all’assistente familiare domiciliare raccontando la sua vita e il rapporto con Gorizia.
Cosa ricorda della prima guerra mondiale?
Io di guerra non ne so niente, so solo che sono andata via (da Gorizia) ma non so cosa hanno fatto in guerra. Sono andata in Toscana con mia nonna, a Pisa, ero piccolissima avevo un anno e mezzo. Dovevo andare con mia madre dall’altra parte (probabilmente in Austria ma ne parla meglio dopo, NdA) ma diceva che faceva freddo, che non sarei stata bene, così ha detto che sarei stata meglio con mia nonna. Con mia nonna sono stata bene in Toscana anche se piangevo perché volevo la mamma.
Ricorda qualche aneddoto della sua esperienza da profuga in toscana?
Ricordo che fin da piccola mi piaceva cantare, avevo una bella voce. Andavo dove ricamavano e cantavano e cercavo di imitare le cantanti. Ricordo in particolare una canzone (che però è di qualche anno dopo la guerra, NdA): Signorinella pallida. Me la ricordo come adesso.
Signorella pallida,
dolce dirimpettaia del quinto piano
Non v’è una notte che io non sogni Napoli
E son vent’anni che ne sto lontano…
Poi a 10-11 anni cantavo in teatro e prima ancora in chiesa, cantavo già a Pisa in chiesa, mi portava mia nonna. Sa, la vita era diversa, non si viveva sotto un “aspetto” (in modo) comune ma importante (intende che si dava importanza a certe cose, Nda). Poi io appena sentivo cantare un’Ave Maria imitavo immediatamente. Ho avuto anche la maestra di scuola che mi ha insegnato a cantare perché ha capito che avevo una buona voce (questo probabilmente negli anni del primo dopoguerra Nda). A Gorizia ho cantato in tutte le chiese, anche nel Duomo. Quando mi sentivano cantare dicevano: “ma chi è quell’angelo che canta?”, perché io cantavo molto molto bene.
Dove stava suo padre?
Mio padre era stato richiamato, era con il Kaiser, come si chiamava? Francesco Giuseppe, l’Imperatore. Si è arruolato, è andato a combattere perché se non fosse andato sarebbe stato imprigionato. Mio padre non voleva essere messo in prigione, ha detto che preferiva combattere. Poi però lui era giovane e, anche se non era laureato, era una specie di architetto, quindi ha ricevuto un trattamento di favore nell’esercito, faceva cose molto importanti, lo hanno tenuto in considerazione. Quando hanno saputo che mio padre era una ragazzo che aveva studiato, era intelligente, lo hanno messo in un ambiente di riserva per trattare l’”andamento” militare.
E sua madre?
Mia madre era al confine tra Gorizia e la Jugoslavia. Era una profuga assieme ad altre persone. Stava in una casa, però diceva che lì non sarei stata bene, sarei stata meglio con mia nonna in Toscana.
Com’era Gorizia al suo ritorno? Come prima?
Io non posso sapere com’era prima della guerra perché non me la ricordo, ero una bambina appena nata. So soltanto che dicevano che era stata bombardata, buttavano le shrapnel, così dicevano. Lì dove hanno combattuto hanno lasciato i morti e via dicendo. Quando sono arrivata io non sapevo niente né di prima né di dopo, sono sempre stata con mia nonna fino a 5-6 anni. Poi i miei genitori sono tornati tutti e due.
Quando siamo tornati a Gorizia, sempre con mia nonna, mia mamma non era ancora tornata.
A Gorizia sono tornata a 4 anni, nel 1918, perché nel ’18 è finita la guerra. Mia nonna ha detto: «metteranno di nuovo tutto a posto».