Il ricordo del terremoto e l’abbraccio a Gemona da parte di un alpino abruzzese.
“Il 6 maggio 1976, una data scolpita nel mio cuore abruzzese“. Anche se vive a Sante Marie, in provincia dell’Aquila, e nonostante i 46anni passati, Giulio Gino Di Giacomo resta legato al Friuli e a quei mesi trascorsi nella caserma Goi Pantanali.
“Ogni anno, la settimana prima del 6 maggio, sento qualcosa dentro: ricordi intensi riaffiorano nella mia mente, non posso resistere e non posso non pensare a Gemona del Friuli – racconta – . Ero lì come Artigliere di montagna e ad un mese dal congedo sopraggiunse il maledetto Orcolat, chiamato così dai friulani il terribile sisma di magnitudo 6,5 che durò un interminabile minuto. Circa 1.000 morti, 3.000 feriti, 45.000 senza tetto e la ‘mia’ caserma Goi Pantanali rasa al suolo con il suo maledetto tributo di Alpini morti. Invece di festeggiare gli ultimi giorni di naja, come era abitudine, iniziarono i giorni di ‘spostare le macerie a mani nude’, di riflettere, di vedere la sofferenza e di capire tutto quello che era successo, di applicare personalmente sul campo tutta ‘l’Alpinità’ e i valori degli Alpini imparati nei mesi di naja.
“A distanza di 46 anni, come sempre, dedico queste poche righe ai friulani, all’Alpino di Trasacco Pasquale Probbo morto sotto le macerie e a tutti Alpini della Marsica“, conclude Gino.
Ma oltre ai ricordi Gino custodisce anche un oggetto di quel periodo al quale resta da sempre legato. Un “lavoretto” fatto qualche mese prima del sisma, usando lametta, qualche pezzetto di legno di una cassetta, lucido militare marrone per le scarpe e un po’ di pelle trovata in giro in caserma.