“Sono esasperata, amareggiata, disorientata, stanca di lottare contro i mulini a vento, ma soprattutto io e mio figlio siamo stati abbandonati dai servizi sociali da un giorno all’altro“. Il grido di dolore e la disperazione di Daniela Iob, gemonese mamma coraggio che dal 2016 si prende cura di suo figlio Denis, 36 anni, rimasto celebroleso in seguito ad un brutto incidente stradale, non trova orecchie disposte ad ascoltare, ma soprattutto nessuno sembra avere intenzione di risolvere una questione decisamente delicata, ma altrettanto trattabile, se solo fossero applicate le modalità in essere che fino a qualche mese fa avevano garantito a Denis non solo assistenza quotidiana, ma anche dei piccoli costanti progressi.
La telefonata che cambia tutto.
Il 26 settembre scorso infatti, Daniela riceve una doccia gelata, una telefonata che le comunica che dalla settimana seguente, il figlio non avrebbe più avuto diritto alla presenza di Marco, l’educatore che da ben sette anni si è preso cura con amore e costanza dei suoi progressi, e che da fine anno in poi , in sostanza, la famiglia di Denis avrebbe dovuto arrangiarsi a trovare un’ altra figura competente, perché a Marco sarebbe stato assegnato un altro incarico.
Come se tutto il lavoro svolto fino a quel momento in un batter d’occhio fosse andato in frantumi. Il baratro oscuro nel quale Daniela è sprofondata è indescrivibile. Si sente sola, abbandonata, le uniche figure di supporto sono le infermiere domiciliari e il Dottore del distretto. Non sa più che fare, ma ancora una volta si rimbocca le maniche e decide di reagire, per amore di quel figlio così speciale.
L’appello alla Regione.
Il 29 ottobre dello scorso anno, armata di determinazione e coraggio, Daniela scrive una lettera a cuore aperto all’ Assessore alla sanità del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi , dove, in sostanza, chiede con grande umiltà di poter fare entrare nella vita del figlio un’ altra figura competente, che possa portare avanti il lavoro svolto fino a quel momento da Marco. ” Quando abbiamo portato a casa Denis, dopo l’incidente e un anno e mezzo di ricoveri ospedalieri, è stato uno dei momenti più difficili da affrontare – spiega Daniela – nonostante, però, mi avessero detto che non aveva nessun obiettivo da raggiungere, dovevo trovare un modo affinché la sua nonostante tutto continuasse ad essere vita – ricorda Daniela- per questo motivo ho contattato una cooperativa, usufruendo del fondo regionale che fino all’anno scorso era definito FAP, finalizzato all’indipendenza della persona, mettendo in chiaro quali fossero le mie necessità per avere un educatore che venisse addestrato per aiutarci in questo”.
L’importanza dell’educatore per Denis.
L’educatore è stato addestrato dal fisioterapista tre volte la settimana per ben tre anni, per essere in grado di eseguire in forma autonoma tutti gli esercizi necessari a Denis e nel giro di un paio di mesi il ragazzo ha iniziato a rinascere, pur avendo metà corpo paralizzato, con un danno del linguaggio grave che non gli permette di comunicare, leggere o scrivere. Ha così iniziato a stare ogni giorno per un po’ in piedi nel piano di statica, rafforzando nel limite del possibile la muscolatura migliorando anche la sua postura, fondamentale per lui. Pur non essendo in grado di parlare, negli anni, stimolato cognitivamente ogni giorno è migliorato andando oltre ogni pronostico.
“Marco, l’educatore, è entrato nella nostra vita appunto da sette anni, ha affiancato noi e Denis due ore al mattino ogni giorno dal lunedì al venerdì, ha condiviso i suoi successi ma anche i suoi problemi, sono cresciuti assieme, credo in un dare reciproco, lui per Denis è diventato un punto di riferimento, quasi un fratello maggiore, momenti fatti di esercizi, ma anche di divertimento, una delle poche persone in grado di capirlo, di comprendere cosa si nasconda dietro ai suoi sorrisi, al suo modo di prenderci in giro” prosegue Daniela, che è un fiume in piena. “Quest’ultimo anno, già di per sé difficile, per diversi ricoveri e nuovi problemi da affrontare essendo il danno cerebrale paragonabile a una malattia degenerativa, è stato reso ancora più buio dopo quella maledetta telefonata in cui mi hanno informata che Denis non avrebbe più avuto alcun sostegno” ribatte Daniela.
L’educatore all’inizio avrebbe dovuto fare cinque giorni di affiancamento con la nuova educatrice , già di per sé ridicoli in una situazione così delicata, oltretutto, poi, sono diventati solo due. Inoltre, come se non bastasse, una settimana dopo ci hanno comunicato che questa sostituzione sarebbe stata temporanea fino alla scadenza del contratto a dicembre, per poi non essere rinnovato. “Ho pianto tre giorni, ho avuto un attacco di panico, forse chi vive una situazione come la nostra capisce cosa significhi dopo sette anni una notizia così ,soprattutto per Denis” prosegue Daniela.
“Eppure è così, per l’ennesima volta ho avuto la prova che chi è come lui è sempre più invisibile, sono gli ultimi, quelli che non hanno voce, che non hanno il diritto di pretendere” spiega la madre, distrutta dal dolore. Era un rapporto lavorativo, qualcuno potrebbe obiettare, ed è vero è così, però questo non lo rende meno atroce, meno violento e doloroso, togliere a un ragazzo, ma anche alla famiglia, un riferimento così importante, costruito giorno dopo giorno. Una famiglia, già di per sé distrutta, è stata calpestata una seconda volta perché serviva un educatore da un’altra parte e il sistema sanitario ne è sprovvisto.
Le domande di mamma Daniela, per ora senza risposta.
“Mi chiedo come sia possibile che non esista in tutta la regione una figura di competenza, mi chiedo perché nessuno accolga la nostra lecita richiesta, mi chiedo perché non abbiamo ricevuto alcuna risposta da nessuno degli organi competenti” conclude Daniela, che continua a porsi diverse domande:” Visto che questi fondi vengono erogati dalla regione e distribuiti dall’azienda sanitaria e sono destinati a persone con gravi disabilità seguite dagli assistenti sociali, perché non vengono tutelati? Il problema è che la persona che usufruisce di tali fondi deve arrangiarsi, come nel mio caso con una cooperativa, che ha il potere di interrompere il rapporto quando vuole, com’è successo nel nostro caso. Ma se i fondi vengono distribuiti dall’Asl e il disabile dovrebbe essere in teoria tutelato dalle assistenti sociali, perché non esiste un controllo affinché possano intervenire e tutelare la persona fragile in situazioni così? Cosa farò ora, se non trovo una persona adeguata? Tengo infine a precisare che mi occupo di mio figlio 24 ore su 24 e le uniche due ore che posso usare per le altre cose fuori casa sono quelle in cui mio figlio svolge le attività con l’educatore. Vorrei anche sottolineare che ci sono moltissime situazioni aderenti alla mia, famiglie sfasciate senza un minimo di aiuto da parte di nessuno. È possibile in una situazione già di per sé così difficile essere abbandonati a sé stessi?“. Tutte domande alle quali ad oggi, purtroppo, la famiglia di Denis non ha avuto alcuna risposta né dal sindaco di Gemona, né dall’ assessore alla disabilità, tantomeno dai vertici della regione.