La delusione nei centri commerciali in Fvg per le chiusure nei weekend.
In Italia sono una realtà da 36.000 aziende, 7.000 delle quali su scala familiare, e offrono lavoro a 590.000 persone. Senza dimenticare l’indotto. Sono i centri commerciali dove, da domani, nei weekend resteranno chiuse gran parte delle attività, eccetto farmacie, parafarmacie, punti vendita di generi alimentari, tabaccherie ed edicole al loro interno. Tutto ciò per effetto dell’ultimo Dpcm del governo, entrato in vigore da oggi e con misure valide fino al 3 dicembre. Da domani, quindi, serrande abbassate in parecchi negozi.
Come vivono il momento queste realtà del Fvg? “Ci sentiamo discriminati, ancor più penalizzati rispetto a quanto accaduto con il primo lockdown. Stanno facendo di tutto per dividere gli stessi operatori, quando ci sarebbe invece bisogno di unirsi”. È amareggiato Antonio Maria Bardelli, patron del centro commerciale Città Fiera di Torreano di Martignacco. Una realtà con 250 negozi e 40 proposte food, meta ogni anno di 9 milioni di visitatori e che può contare su una storia lunga oltre un quarto di secolo.
Anche qui bisognerà fare i conti con le chiusure del fine settimana, eccetto poche eccezioni. “Abbiamo messo in campo forti investimenti per rispettare i protocolli – aggiunge -, dai tamponi alle superfici più sensibili per capire se ci fossero tracce di virus alla sanificazione dell’aria con filtri biocidi. I centri commerciali sono sicuri e non capisco perché colpirli. Da noi, ogni frequentatore ha a disposizione decine di metri quadri. Dagli amplissimi spazi in galleria ai tavoli più larghi nei ristoranti, c’è tutto lo spazio necessario per evitare assembramenti. Non siamo certo noi i colpevoli dell’impennata di contagi da coronavirus”. Una decisione, quella dell’ultimo Dpcm, che in Europa non trova eguali. “E questo mi amareggia ancor di più – sottolinea Bardelli -: negli altri Stati non sono state introdotte simili discriminazioni. Nel primo lockdown in Italia i provvedimenti erano duri, ma lo erano per tutti. Ora, non si capisce la logica”.
La preoccupazione, nel quartier generale di Torreano di Martignacco, aleggia. “È ingiusto – conclude Bardelli – che una stessa tipologia di negozio da noi sia chiusa e da altre parti, invece, possa rimanere aperta”.
I patemi sono molti anche per chi ha un’attività: gli esercizi commerciali del Città Fiera danno lavoro a 1.700 dipendenti. Tra le aziende, c’è anche chi ha appena investito per crescere. È Am Giochi e Fumetti, aperto da tre anni e mezzo al primo piano e che da luglio si è ampliato da 40 a 100 metri quadrati, introducendo una zona antistante il negozio per i tornei, per ora ancora non utilizzata. “Chiudere nel weekend per noi sarà pesante, perché nel fine settimana matura il 30-35% del nostro incasso settimanale” racconta Alex Cencig, uno dei due soci assieme a Marco Rangone. Il loro negozio abbina fumetti e manga da una parte, modellismo, giochi di carte e da tavolo dall’altra, con circa 450 titoli. “L’amarezza è molta – prosegue Alex – perché abbiamo fatto di tutto per essere in regola, dalle barriere di plexiglass al gel disinfettante. Abbiamo anche ridotto la capienza massima a 6 persone, a nostro rischio perché qualcuno, vedendo la coda, si spazientisce e se ne va. E ora decidono di chiuderci nel weekend”. Dopo il lockdown, gli affari cominciavano nuovamente a “ingranare”, ma arriva la beffa. “Invito tutti a farsi un giro in un centro commerciale: verificherà che non c’è la ressa che immagina – conclude Cencig -. C’è più gente in qualche bar del centro nell’ora di punta. Non si può additare solo i centri commerciali”.
Marina Corradini gestisce, assieme al marito, tre negozi comunicanti con marchi Timberland, Napapijri e Frau, per complessivi 170 metri quadrati. “Negli ultimi due anni abbiamo investito per ampliarci e crescere, ora questa decisione ci amareggia non poco. Nel 2019 – ricorda – i sabati e le domeniche di novembre hanno costituito il 50% del nostro fatturato mensile”. Secondo Corradini, non c’è il rischio assembramenti nei centri commerciali. “Potrei inviare una foto scattata ieri e si vedrebbe la galleria deserta. È ovvio che se alla gente si mette ansia, poi la clientela gira al largo”. La ripartenza dopo il primo lockdown non è stata “con il turbo”, a differenza di quanto accaduto nei centri storici. “Ma a ottobre – rivela l’imprenditrice – si erano viste crescere fiducia e movimento. Per l’abbigliamento e le calzature, i mesi da ottobre a dicembre sono tra i più importanti dell’anno. A settembre, poi, arriva un gran quantitativo di merce e si rischia che le scorte in magazzino non vengano smaltite. E così diventa difficile”. La situazione potrebbe comportare problemi anche per i 4 dipendenti, con il rischio della cassa integrazione. “La paura è che il 3 dicembre saremo tutti in ginocchio e sarebbe una beffa, perché i centri commerciali, tra controlli agli accessi e nei negozi, sono luoghi sicuri. Non si capisce – conclude Corradini – perché qualcuno possa tenere aperto e altri no, sebbene vendano la stessa tipologia di prodotti”.
La prende con maggiore filosofia, invece, Giuliana Boiano, direttrice del centro commerciale Tiare di Villesse. “Se le autorità hanno deciso di introdurre i provvedimenti, noi siamo a favore delle misure e andiamo avanti. Tanto più gli operatori si atterranno alle disposizioni di legge e quanto prima usciremo da questa situazione di emergenza. La salute, per noi, viene al primo posto”. Nel presidio commerciale ci sono 150 negozi, ospitati in uno spazio di 150.000 metri quadrati. Nel periodo pre-Covid, il traffico era di 5,5 milioni di clienti all’anno. “Ora è difficile fare valutazioni su quanto incideranno le chiusure nel fine settimana – prosegue Boiano – però è chiaro che questo periodo dell’anno ha un elevato peso specifico. Gli utenti, probabilmente, si organizzeranno in altro modo, modificando le abitudini di acquisto”.
Il Tiare, comunque, ha già pronte le strategie alternative per garantire la sostenibilità nel centro. E lo farà rilanciando una pratica sperimentata durante il primo lockdown. “Ripristineremo – conclude la direttrice – il servizio di “Delivery at home”, con la consegna a casa dei prodotti ordinati online. Questo favorirà sia i clienti che non si fidano a muoversi, sia chi ha problematiche di spostamento”. Dopo la riapertura, il centro era ripartito alla grande, grazie anche agli investimenti in sanificazione e all’adozione dei protocolli di legge che avevano evitato ogni assembramento, aumentando la sicurezza.