Dalla scuola alle umiliazioni sul lavoro, Marco racconta com’è essere gay in Friuli

L’uomo che vive in Friuli racconta la sua storia.

La paura di perdere il posto di lavoro, la solitudine di chi ha paura di raccontarsi agli altri. E, ancora, le risatine dei compagni di classe quando frequentava le medie, le spinte e le minacce di dirlo ai genitori. Ma anche il dover cambiare casa da adulto per dei vicini “omofobi che tutto il giorno imprecavano contro i gay”.

Marco, il nome è di fantasia, ha deciso di raccontare la sua storia di persona omosessuale all’indomani del brutale pestaggio nei confronti dell’attivista lgbt Antonio Parisi, vittima insieme a dei suoi amici, di un’aggressione nella piazza di Monrupino a Trieste dopo una giornata passata in osmizza.

“Si pensa che gli omosessuali siano dei pedofili – racconta Marco, ora quarantenne professore in una scuola elementare della regione –, ma così non è. Purtroppo però, molte persone come me sono costrette a non raccontare della propria omosessualità perché in molti ambienti di lavoro, così come in famiglia o con gli amici, non la prenderebbero bene”.

Alle spalle una relazione “poi finita male” con una ragazza, confessa l’uomo, e la scoperta definitiva della propria omosessualità intorno ai 30 anni. “Da adolescente – confida Marco – sentivo di essere attratto verso le persone del mio stesso sesso anche se non capivo cosa volesse dire. Come molti altri, però, ho cercato di reprimere i miei sentimenti. I miei compagni di classe – ricorda – mi prendevano in giro, forse per la mia voce o forse, chissà, perché avevano capito prima di me il mio orientamento sessuale. Fatto sta che più di una volta dei ragazzi mi hanno bullizzato, strattonato o spinto. Il motivo apparente non era mai la mia omosessualità, ma sta di fatto che trovavano sempre delle scuse per deridermi o prendermi un giro. Un giorno un ragazzo della scuola mi chiese di rubare per lui dei soldi dal portamonete di una compagna. Se non lo avessi fatto, minacciò di dire ai miei genitori che ero gay”.

Gli anni passano e Marco da un piccolo paese della provincia si trasferisce in città. Un appartamento preso in affitto in un grande condominio nella prima periferia. “Dopo qualche mese – racconta ancora – mi accorsi che i miei vicini di casa urlavano spesso frasi omofobe. Non direttamente nei miei confronti, ma alla lunga era diventato impossibile vivere in quel modo. Così, dopo che un giorno mi ritrovai la macchina tutta rigata, presi la decisione di cambiare casa e stare in una villetta a schiera. Certo – conclude l’uomo – fino ad ora non ho mai subito dei veri e propri atti di violenza come quello successo al ragazzo di Trieste. Sono stato fortunato, ma chissà. La paura di prenderle è sempre lì in agguato”.

Nell’ultimo report 2020 di Arcigay, l’associazione nazionale per la difesa dei diritti delle persone omosessuali e trans, si parla di 138 storie di omotransfobia in un solo anno in Italia. Sono la punta di un iceberg, perché non tutti denunciano quanto accaduto. Di tutti questi episodi, sempre secondo il report di Arcigay, 74 sono avvenuti nel nord Italia, 30 al centro, 21 al sud e 13 nelle isole. In Parlamento giace ancora la legge contro l’omolesbobitransfobia, la cui approvazione si è fermata a causa del cambio di Governo. Nel frattempo ci sono ancora tanti Marco che faticano a vivere serenamente la loro vita.