Analisi della Cgia di Mestre, sempre meno gli artigiani nelle città: in Friuli serrande abbassate per oltre 5mila botteghe.
Serrande abbassate e botteghe chiuse: continua a diminuire il numero degli artigiani presenti in Italia, e anche il Friuli Venezia Giulia non fa certo eccezione, pur essendo tra le regioni che hanno subito di meno un fenomeno che sembra inarrestabile. Negli ultimi dieci anni, dal 2012 al 2022, il Friuli ha “perso” poco più di 5mila botteghe artigiane, passando da 40.037 a 34.764, ovvero il 13,2%, contro una media nazionale del 17,4%. Dal 2012 gli artigiani in Italia sono scesi di quasi 325 mila unità (-17,4 per cento, appunto) e in questi ultimi 10 anni solo nel 2021 la platea complessiva è aumentata, seppur di poco, rispetto all’anno precedente.
Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Inps, nel 2022 contavamo in Italia 1.542.2991 artigiani. Ma perchè accade tutto questo? Non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora raggiunto l’età anagrafica e/o maturato gli anni di contribuzione per beneficiare della pensione, spesso preferisce chiudere la partite Iva e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente. L’analisi è stata condotta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre.
Sono ormai ridotte al lumicino le botteghe artigiane che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri, etc. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle città, Verona compresa.
I settori che tirano ancora.
Per contro, invece, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione sono quelli del benessere e dell’informatica. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media.
Il forte aumento dell’età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna.
I numeri: le flessioni più contenute a Trieste.
Nell’ultimo decennio sono state Vercelli e Teramo le province che, entrambe con il -27,2 per cento, hanno registrato la variazione negativa più elevata d’Italia. Seguono Lucca con il -27, Rovigo con il 26,3 e Massa-Carrara con il -25,3 per cento. Le realtà che, invece, hanno subito le flessioni più contenute sono state Trieste con il -3,2, Napoli con il -2,7 e, infine, Bolzano con il -2,3 per cento. In termini assoluti le province che hanno registrato le “perdite” più importanti sono state Bergamo con -8.441, Brescia con -8.735, Verona con 8.891, Roma con -8.988, Milano con -15.991.
E in particolar modo, Torino con -18.075 artigiani. Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato il Piemonte con il -21,4, le Marche con il -21,6 e l’Abruzzo con il -24,3 per cento. In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato l’Emilia Romagna (-37.172), il Veneto (-37.507), il Piemonte (-38.150) e, soprattutto, la Lombardia (- 60.412 unità). In Friuli sono 5.273 le botteghe artigiane che hanno abbassato le serrande negli ultimi dieci anni.