La storia di una famiglia con un bimbo positivo al Covid in Friuli.
Ancora una vicenda che fa emergere tutte le falle di un sistema, quello della presa in carico di un paziente Covid, sempre più evidenti in Friuli Venezia Giulia. Anche in questo caso, come già emerso in un altro episodio, è stata colpita una famiglia, che si sente abbandonata a se stessa e costretta a vivere un’odissea, o quasi.
Tutto nasce quando un bimbo di 9 anni che frequenta una scuola primaria in Friuli comincia ad accusare i primi sintomi. Dopo un’alternanza fra tamponi positivi e negativi, tutti a pagamento, si scopre che un compagno di classe ha contratto il Covid. Un ulteriore test, poi, conferma la positività del ragazzo. E da qui, parte un iter purtroppo già visto.
“Abbiamo comunicato tutto alla scuola – racconta la mamma -, ma a quanto ci risulta le altre famiglie non sono state avvertite e non riusciamo a metterci in contatto con l’istituto”. Le regole, in questo caso, sarebbero chiare: con un positivo in classe, le lezioni in presenza non si fermano, ma gli alunni vanno monitorati per 10 giorni con particolare attenzione per l’insorgere di eventuali sintomi. Nelle aule va usata la mascherina Ffp2 ma quest’ultimo protocollo, a quanto pare, non è stato seguito nel caso specifico.
Intanto, i giorni passano e l’Azienda sanitaria competente sul territorio non si fa viva, dice la famiglia, nemmeno per appurare i contatti più stretti del giovane. “Ci sentiamo lasciati a noi stessi” allarga sconsolata le braccia la mamma. Che, intanto, dopo vari tamponi insieme al marito dovrà ora farne un altro anche per l’uscita dalla quarantena di tutta la famiglia, figlio compreso: “Abbiamo speso oltre 200 euro di test, è un salasso” conclude la donna.