I medici potranno restare in servizio fino a 72 anni.
Con il decreto milleproroghe sarà consentito ai medici del Servizio Sanitario Nazionale di rimanere in servizio fino ai 72 anni di età. Questa decisione, seppur su base volontaria, offre un’opportunità senza precedenti per coloro che desiderano continuare a contribuire al sistema sanitario anche oltre l’età tradizionalmente considerata per il pensionamento.
Secondo quanto stabilito, i medici potranno richiedere di rimanere in servizio fino al 31 dicembre 2025, contribuendo così a fronteggiare la carenza di personale nelle strutture ospedaliere. Tuttavia, vi sono alcune condizioni da rispettare. Chi opterà per il ritardo della pensione non potrà mantenere o assumere incarichi dirigenziali di alto livello, come quello di primario. Potranno ritornare in servizio anche coloro che sono già andati in pensione a partire dal 1° settembre 2023.
L’associazione degli Anestesisti e Rianimatori: “Una soluzione inutile”
Sulle novità introdotte interviene anche l’Arroi Emac Fvg, l’Associazione Anestesiti e Rianimatori “Tale manovra non avrà alcun impatto sulla grave carenza di medici dell’emergenza urgenza e sulla fuga degli stessi verso il sistema privato, né tantomeno sulla qualità delle prestazioni offerte ai cittadini della nostra regione – spiega l’associazione – . Anche nella nostra regione tale manovra risulterà inutile, demagogica, fuorviante e per nulla impattante sui gravi problemi del nostro SSR. Vedremo quanti di questi pensionandi o pensionati saranno disposti a fare notti e guardie in prima linea al posto dei giovani colleghi che dicono di voler aiutare con la loro ri-discesa in campo”.
“Se la strada è quella di sbandierare queste irrisibili soluzioni come la panacea per tutti i mali della sanità e nel frattempo continuare sottotraccia a svendere interi Pronto Soccorso a ditte, cooperative ed enti privati presto la Sanità di questa Regione collasserà su sé stessa. Si prenda coscienza generale che il vero problema non è la carenza di medici in assoluto, ma l’incapacità o peggio ancora la non volontà delle politiche sanitarie aziendali e regionali di trattenerli, attrarli, gratificarli ed incentivarli”, conclude l’associazione.