La manifattura in provincia di Udine continua a mostrare segnali di debolezza nel quarto trimestre del 2024. Secondo l’indagine condotta dall’Ufficio studi di Confindustria Udine su un campione rappresentativo delle aziende associate, la produzione industriale ha registrato una diminuzione del 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2023, pur segnando un leggero recupero dell’1% rispetto al trimestre estivo.
A pesare maggiormente sul calo è stata la flessione delle vendite sul mercato interno (-7,3%), mentre le esportazioni (+0,2%) hanno mantenuto una sostanziale stabilità. Gli ordini, invece, sono scesi del 5,2% rispetto all’anno precedente. Il sentiment delle imprese si conferma cauto: l’89% prevede una produzione stabile nei prossimi mesi, solo il 9% si aspetta una crescita, mentre il 2% teme un’ulteriore contrazione.
Nonostante il rallentamento produttivo, l’impatto sul livello occupazionale appare meno marcato, con una lieve flessione dello 0,6%. L’analisi per settore evidenzia andamenti divergenti: la siderurgia registra una crescita congiunturale del 2,5% ma un calo tendenziale dell’8%, mentre il comparto legno e mobile segna rispettivamente +0,7% e +2,5%. L’industria alimentare mostra un andamento positivo (+11,5% su base annua), mentre la chimica segna -5% su base trimestrale ma +6,2% rispetto al 2023.
Un 2024 in negativo, ma con segnali di resilienza
L’anno 2024 si chiude con una contrazione complessiva della produzione industriale dell’1,9%, segnando il terzo anno consecutivo di flessione (-3,3% nel 2023 e nel 2022). Tra i pochi settori in crescita su base annua figurano l’alimentare (+1,5%), la chimica (+5,2%) e la gomma-plastica (+1,5%). Gli altri comparti, invece, subiscono perdite più o meno marcate: siderurgia (-3,3%), meccanica (-1,9%), legno-arredo (-0,4%), cartario (-1,3%), materiali da costruzione (-1,9%), tessile (-3,2%) e pelli-cuoio (-3,3%).
Pozzo: “Non è una crisi di sistema, ma servono politiche industriali mirate”
Secondo Luigino Pozzo, presidente di Confindustria Udine, le cause di questo calo sono molteplici: “La domanda interna e gli investimenti restano deboli, frenati da tassi d’interesse ancora elevati e dall’incertezza sul piano Transizione 5.0. Sul fronte internazionale, il contesto geopolitico e le possibili revisioni del Green Deal contribuiscono a creare instabilità. Inoltre, il costo dell’energia in Italia resta tra i più alti in Europa: a febbraio era superiore del 17% rispetto alla Germania, del 23% rispetto alla Francia, del 39% rispetto alla Spagna e addirittura del 151% rispetto ai Paesi scandinavi. Pesano anche la recessione tedesca (-4,5% di produzione industriale su base annua) e l’incognita dei dazi USA, due mercati fondamentali per l’export friulano”.
Pozzo, tuttavia, evidenzia che la crisi in corso non è strutturale: “Non siamo di fronte a un collasso del sistema, come nel 2008. Le imprese friulane sono solide e hanno dimostrato una capacità di adattamento superiore a quella tedesca, grazie a dimensioni più contenute e una maggiore diversificazione. Usciremo da questa fase investendo in innovazione e formazione. Tuttavia, non possiamo farcela da soli: serve un’azione forte dell’Europa per una politica industriale adeguata alla transizione post-globalizzazione e alla crescente competizione internazionale”