La “fuga dei cervelli”: il Friuli ha perso 30mila giovani

La dimensione della “fuga dei cervelli” in Friuli.

Tra il 2011 e il 2023 trentamila giovani della fascia 18-34 anni hanno lasciato il Friuli Venezia Giulia per andare a lavorare (o a specializzarsi) all’estero, con Germania, Francia, Svizzera, Spagna, Regno Unito come destinazioni privilegiate; è la nota “fuga dei cervelli” perché ad emigrare sono le persone con livello di istruzione più alto.

Il 35% dei giovani della stessa fascia anagrafica residenti in Fvg, quindi più di uno su tre, manifesta un’elevata propensione a espatriare, che cresce in relazione al livello d’istruzione: nel 2022, infatti, il 51% dei giovani friulani partiti per l’estero erano laureati.

È quanto emerge dall’indagine “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero. Propensione e motivazione”, realizzata dalla Fondazione Nordest, presentata al seminario “Nuova e vecchia emigrazione a confronto“, che si è aperto ieri pomeriggio e proseguirà fino a oggi a Udine, nel centro congressi Paolino d’Aquileia di via Treppo 5.

All’incontro ha portato i saluti anche Mauro Bordin, presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. Protagonista assieme al sindaco di Udine Alberto Felice De Toni, al vicepresidente dell’ente Friuli nel mondo Guido Nassimbeni e al coordinatore dei gruppi di lavoro Luigi Papais di un gustoso antipasto dialettico prima delle relazioni.

Lo spunto è venuto dalle considerazioni di Nassimbeni sulle caratteristiche della nuova emigrazione, altrimenti detta fuga dei cervelli. “Andare all’estero non è un fatto negativo – ha
sottolineato il vice di Franco Iacop, assente giustificato per un impegno istituzionale in Argentina – ma purtroppo molti giovani del Fvg non hanno il biglietto di ritorno“.

Su questa premessa si è innestato il ragionamento di Bordin. “Da una migrazione di necessità – ha ricordato – siamo passati a una migrazione di opportunità. Nell’ultimo anno sono stato in Australia e in Canada e mi ha colpito sentire dalla voce dei vecchi emigranti che un tempo non c’era altra scelta che partire per sopravvivere, un viaggio con mille incognite e con il peso della distanza dalla famiglia, di cui si venivano a sapere le notizie belle o brutte soltanto dopo mesi. Oggi invece al giovane che sbarca all’estero basta una videochiamata su Whatsapp per connettersi all’istante con i suoi cari”.

Ma perché questo fenomeno è così diffuso? “Da una parte siamo noi adulti a spingere i giovani a fare esperienze all’estero per imparare di più – si è risposto Bordin -, dall’altra bisogna ammettere che l’Italia negli ultimi 20-30 anni ha fatto un passo indietro in termini di capacità di valorizzare professionalmente i giovani in tempi adeguati, e anche sotto il profilo squisitamente economico delle buste paga. Gli stipendi da noi sono più bassi, anche se dovremmo mettere in conto pure valori extraeconomici come la qualità della vita e dei servizi”. Dunque “ben vengano le esperienze dei giovani all’estero, ma attiviamo i meccanismi per farli poi tornare alla base, puntando anche sui valori identitari, sul senso di appartenenza alla comunità”.

Tutti questi meccanismi della società si inseriscono in quello che Bordin ha definito “l’unico vero dramma, ovvero l’inverno demografico, la denatalità, di cui non siamo ancora del tutto consapevoli. Dobbiamo fare di più – ha suggerito il presidente – per sostenere chi mette al mondo un figlio, riportando la famiglia al centro della società”.

Parole riprese con una sfumatura diversa dal sindaco De Toni, convinto che il tema della denatalità vada declinato a livello mondiale più che nazionale e che occorra immaginare “forti interconnessioni tra i nostri laureati all’estero e il territorio, creando interessi economici e reti economiche”.