Soltanto quattro mesi, una breve parentesi di libertà in mezzo alla barbarie. Eppure la Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli resta una pagina indelebile, nonché un unicum nella storia della resistenza al nazi-fascismo: nessuna area italiana raggiunse infatti quelle dimensioni.
Dalla fine di luglio del 1944 all’8 ottobre dello stesso anno, data dell’avvio dell’operazione di riconquista da parte dei comandi tedeschi con l’ausilio di un nutrito contingente cosacco, la piccola repubblica poteva contare su 38 Comuni interamente liberati, altri 7 in modo parziale, un’estensione di 2580 chilometri quadrati e una popolazione di circa 90mila abitanti.
Anticipatrice della Liberazione del 1945, la Zona libera fu anche un’occasione di sperimentazione politica, con la coabitazione democratica di partiti e movimenti antifascisti molto diversi tra loro: comunisti come Gino Beltrame “Emilio”, democristiani come don Aldo Moretti “Lino” e Luigi Nigris, azionisti come Nino Del Bianco “Celestino”, liberali come Manlio Gardi e Umberto Passudetti, socialisti come Giovanni Cleva e Dino Candotti. A queste personalità si affiancavano le due anime partigiane della Garibaldi (con Mario Lizzero “Andrea”) e dell’Osoppo (con Romano Marchetti “Da Monte”), tanto per citare qualche nome di personalità che avrebbero avuto un ruolo anche negli anni successivi.
La democrazia comportava anche l’accesso al voto, a suffragio universale e riservato ai capifamiglia, e l’elezione delle giunte comunali vide una grande partecipazione da parte della popolazione.
La repressione che portò alla “Kozakenland in Nord Italien” fu però durissima, dopo che i 31 battaglioni partigiani vennero sconfitti dalle decine di migliaia di uomini messi in campo dai comandi tedeschi: almeno 900 i morti, la metà dei quali civili. E nei mesi successivi circa 40mila tedeschi, fascisti, cosacchi e caucasici invasero la Carnia, stabilendosi spesso nelle case della gente. Un‘occupazione che si concluse solo l’8 maggio del 1945, giorno della resa degli invasori.