La crescita del Pil in Friuli sarà più ridotta rispetto alle stime.
Frena il Pil del Friuli Venezia Giulia: la crescita, secondo le analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Prometeia, sarà dello 0,8% nel 2023 e dello 0,6% nel 2024, pari a 0,3 punti percentuali in meno ogni anno rispetto a quanto stimato tre mesi fa (rispettivamente + 1,1 e + 0,9%).
A pesare, sono un calo della domanda estera, prezzi del petrolio e del gas più elevati e condizioni di accesso al credito più rigide. La nostra regione sconta l’indebolimento del comparto industriale e un calo negli investimenti dell’edilizia: la prima subirà una contrazione stimata attorno a -1,6% mentre le costruzioni, che nel 2022 erano cresciute del 10,9%, caleranno dello 0,3%.
Il caro prezzi, inoltre, frenerà i consumi delle famiglie previsti crescere solamente dell’1,3% nel 2023 e dello 0,7% nel 2024, ad un ritmo comunque superiore a quello del Pil grazie alle condizioni ancora complessivamente favorevoli del mercato del lavoro (con il rimbalzo del +5,5% nel 2021 e del +5,9% nel 2022 i consumi delle famiglie si erano riportati sopra il livello pre-pandemia).
Prevista anche una contrazione degli investimenti, che dopo il +21% del 2021 e +8,6% del 2022, scenderebbero dello 0,4% nel 2023 e dell’1,8% nel 2024, a causa dell’inasprimento delle condizioni monetarie, anche se il calo sarà limato dall’impulso espansivo degli interventi del PNRR.
Le esportazioni di beni in volume risentirebbero del rallentamento del commercio mondiale, per accelerare il prossimo anno: dal +9,9% del 2022 (con un rapporto export/pil del 48,6%), si passerebbe al -6,1% del 2023 e al +2,5% del 2024. Anche le importazioni sono previste in diminuzione quest’anno (-5,8%) e resterebbero stagnanti il prossimo (+0,2%) per effetto del rallentamento della domanda interna.
L’occupazione, misurata in termini di unità di lavoro, si incrementerebbe dello 0,4% quest’anno e dello 0,5% il prossimo. Il tasso di disoccupazione è previsto in ulteriore calo, passando dal 5,4% del 2022 al 4,7% del 2023 (era al 6,2% nel 2019, pre-pandemia).
L’inflazione è stimata in progressiva riduzione, ma ancora a livelli superiori, sia in Italia che nelle principali economie, all’obiettivo delle banche centrali del 2%, con conseguente prosecuzione del ciclo monetario restrittivo. Secondo la Banca d’Italia si porterebbe al 6,1% nella media di quest’anno (8,7% l’indice Ipca nel 2022), si ridurrebbe al 2,4% nel 2024 e scenderebbe all’1,9% solo nel 2025.
Il quadro internazionale.
Lo scenario rimane soggetto a rischi, soprattutto di matrice internazionale. Le previsioni non tengono, inoltre, conto delle possibili ripercussioni del conflitto in Medio Oriente, né degli ulteriori, possibili effetti sul petrolio e sul gas. Una nuova fiammata dei listini potrebbe riaccendere l’inflazione e costringere le Banche Centrali a prolungare la stretta.
Negli ultimi due mesi, il prezzo del gas è risalito, in linea con le consuete dinamiche stagionali legate all’approssimarsi dell’inverno, a causa di scioperi in alcuni siti di produzione e, negli ultimi giorni, per la situazione in Medio Oriente. Nonostante la quota importata dalla Russia ormai rappresenti una piccola parte sul totale delle importazioni di gas (a Tarvisio l’afflusso è passato in un anno dal 22 al 6%), gli stoccaggi si sono mantenuti su livelli elevati e attualmente il tasso di riempimento è superiore al 95%.
Per quanto riguarda le prospettive economiche dei Paesi esteri, la locomotiva tedesca frenerà. Correzione al ribasso anche per la Cina, sui cui pesa la crisi dell’immobiliare, mentre sono state alzate le stime per gli USA, la cui economia è sostenuta dagli investimenti delle imprese e dai consumi. Nonostante, infine, le sanzioni, Pil in crescita in Russia (dal -2,1% del 2022 al +2,2% del 2023).
L’aumento dei tassi di interesse.
Un ulteriore rischio è legato all’inasprimento delle condizioni di finanziamento per le famiglie e le imprese che ha contribuito a frenare la domanda di credito. Sulla base delle analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati della Banca d’Italia, il costo del credito si è portato ad agosto al 5% per le imprese italiane e al 4,3% per le famiglie per l’acquisto di abitazioni.
I prestiti alle imprese a giugno, di conseguenza, sono scesi in Italia del 3,4% annuo e in FVG dell’11,8%, peggior dato fra le regioni italiane. Inoltre, una quota crescente di imprese non ottiene credito (8,2% in Italia): la domanda è frenata da condizioni troppo onerose, ma pesano anche i più stringenti criteri di accesso. Di pari passo, la liquidità delle imprese si sta prosciugando (-10,1% in un anno i depositi in Italia), mentre aumentano i ritardi nei pagamenti e il deterioramento dei vecchi prestiti. Viceversa, i prestiti alle famiglie, pur continuando a rallentare, registrano, sempre a giugno, un aumento dell’1% in Italia e dello 0,5% in FVG.
Il commento di Benedetti.
Secondo il presidente di Confindustria, Gianpietro Benedetti, ci attendono “18/24 mesi di economia raffreddata, forse più volatile del previsto per via degli eventi geopolitici in corso. Eventi che auspichiamo rimangano regionali e risolti al più presto. Rimaniamo altresì dell’idea che in queste situazioni sia opportuno investire per migliorare qualità e competitività dei prodotti, unitamente al servizio clienti. Da sottolineare che sin qui i dati consuntivi e previsionali confermano la competitività del sistema Friuli Venezia Giulia, che sarà mantenuta, appunto, investendo ed innovando”.