Lo stato di salute dei ghiacciai sulle Alpi Giulie.
Nelle Alpi Giulie “sopravvivono” faticosamente gli ultimi tre ghiacciai: quello del Montasio (l’unico ancora definibile ghiacciaio) e quelli del Canin orientale (sempre in Italia) e del Triglav (in Slovenia), ridotti a poche placche sparse di neve e ghiaccio (glacio-nevati). Insieme costituiscono appena il 5% del volume glaciale che le Alpi Giulie avevano nella Piccola età glaciale.
Sono i (desolanti) dati che emergono dalla tappa in regione della Carovana dei ghiacciai 2024, la campagna di Legambiente in collaborazione con CIPRA Italia e la partnership scientifica del Comitato Glaciologico Italiano, che ha monitorato la stato di salute dei giganti bianchi. Quella in Friuli-Venezia Giulia/Slovenia è la quinta tappa della V edizione che ha iniziato il suo viaggio il 18 agosto in Francia, sul ghiacciaio Mer De Glace, per poi spostarsi in Valle D’Aosta sui ghiacciai della Valpelline, in Piemonte sul ghiacciaio di Flua e in Lombardia sul ghiacciaio di Fellaria.
Il ghiacciaio del Canin e quello del Triglav.
Tra i ghiacciai più in sofferenza c’è quello del Canin: è passato da una superficie di 9,5 ettari negli anni 50 a 1,4 ettari, pari a poco più di un campo da calcio. E lo spessore medio del ghiaccio, che agli inizi del ‘900 superava in alcuni punti i 90 metri, oggi arriva appena agli 11 metri (dati di Renato Colucci, Comitato Glaciologico Italiano e CNR-ISP).
Stessa sorte quella del ghiacciaio del Triglav, in Slovenia che, nonostante sia quello posto alla quota più elevata nelle Alpi Giulie (2.700 metri), ha registrato un’importante perdita di superficie passando da 40 ettari (dal 1946) a circa a 0,2 ettari nel 2022, riducendosi del 98% (dati di M. Pavšek, ZRC SAZU).
Il “resistente”: il ghiacciaio sul Montasio.
Pur essendo situato molto più in basso (1.900 metri) “resiste” ancora, invece, il ghiacciaio del Montasio (con superficie di 7 ettari, 0,07 km²); a giocare a suo favore l’esposizione settentrionale che gli garantisce ombra, gli accumuli di valanghe e le elevate precipitazioni nell’inverno 2023-2024 pari a 8 metri di neve (dati di Federico Cazorzi, CGI e Università di Udine).
A preoccupare, il ripetersi di eventi estremi durante il periodo estivo che accelera notevolmente l’evoluzione negativa di questi piccoli corpi glaciali.
Le proposte di Legambiente per i ghiacciai.
Legambiente ricorda che in Italia meno della metà delle zone glaciali si trova in aree protette – tra gli strumenti più efficaci per tutelare la biodiversità, contrastare la crisi climatica e promuovere lo sviluppo sostenibile dei territori e comunità – e lancia una road map con 5 azioni per garantire una maggiore tutela della biodiversità in alta quota:
1) Avviare un piano di monitoraggio della biodiversità degli ambienti glaciali integrato con specifici piani di adattamento ai cambiamenti climatici per le singole specie e/o habitat.
2) Definire una rete ecologica adattativa, che tenga conto dei futuri scenari climatici, per favorire la continuità spaziale degli habitat e delle popolazioni o la possibilità di flussi genetici tra popolazioni.
3) Porre attenzione agli impatti antropici che minacciano la biodiversità e le pratiche di copertura dei ghiacciai con teli geotessili.
4) Intensificare gli sforzi per creare nuove aree protette anche nelle zone glaciali per il raggiungimento dell’obiettivo di tutelare, attraverso strumenti giuridicamente vincolanti, almeno il 30% del territorio entro il 2030.
5) Sviluppare nuove strategie per migliorare la protezione in situ di questi ecosistemi per garantire la loro esistenza e funzionalità ecosistemica, come ricorda la recente risoluzione delle Nazioni Unite che dichiara il 2025 Anno internazionale dei ghiacciai e il Global Biodiversity Framework.
“Con la scomparsa dei ghiacciai – dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di
Legambiente e presidente di CIPRA Italia – la Terra sta perdendo uno dei suoi più grandi ecosistemi. Ma non vanno persi di vista gli habitat emergenti, che rappresentano enormi cambiamenti e pongono nuove sfide per la conservazione dell’alta quota, tuttora sottovalutata poiché protetta solo in minima parte, ancorché sconosciuta. Senza un’accurata conoscenza della biodiversità glaciale e delle aree proglaciali insieme al monitoraggio nel tempo, entrambi propedeutici alla tutela, non potremo capire gli effetti negativi che avrà la scomparsa dei ghiacciai sul funzionamento degli ecosistemi e quindi anche sul nostro stile di vita”.
“La contrazione di questi ghiacciai, oramai classificabili come glacio-nevati, è una prova diretta del cambiamento climatico nelle Alpi Giulie – dichiara Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico e professore dell’Università Milano Bicocca -. Si tratta di corpi glaciali piccoli e ad una quota estremamente bassa se rapportati al resto del sistema alpino, che risentono dell’innalzamento della quota delle piogge, ormai anche durante la stagione invernale”.
Quella dell’innalzamento della quota delle piogge e neve è, insieme alla maggiore alternanza e
durata dei periodi secchi e concentrazione delle precipitazioni in eventi singoli di intensità
maggiore sono una caratteristica riscontrabile non solo nelle Alpi Giulie, ma estendibile all’intero arco alpino, come nota il climatologo Colucci.
La Carovana dei ghiacciai 2024 – con partner sostenitori FRoSTA, Sammontana, FPZ, partner tecnico Ephoto, media partner La Nuova Ecologia e L’Altra Montagna – terminerà il suo viaggio in Veneto (5-9 settembre) sul ghiacciaio della Marmolada.
I dati sui ghiacciai delle Alpi Giulie sono stati presentati oggi in conferenza stampa a Udine, alla presenza, oltre degli esperti del Cgi e dell’Università di Udine, anche del presidente di Legambiente Fvg, Sandro Cargnelutti. L’associazione ambientalista ha lanciato anche una petizione online “Una firma per i ghiacciai” per chiedere al Governo azioni concrete di tutela di questi ecosistemi.