Il tema della sanità discusso oggi in Consiglio regionale.
Cinque question time discussi oggi in Consiglio regionale riguardavano i temi della Salute e della Sanità in Friuli Venezia Giulia.
I medici stranieri e i problemi con la lingua.
Furio Honsell (Open Sinistra Fvg) ha chiesto ragione all’assessore Riccardo Riccardi dei problemi che si sarebbero verificati nel Pordenonese a causa dell’insufficiente conoscenza della lingua italiana da parte di operatori sanitari del settore della diagnostica, un gap linguistico che avrebbe causato problemi di comprensione dei referti da parte degli utenti.
“I medici ai quali si fa riferimento – ha spiegato Riccardi – hanno la doppia cittadinanza argentina e italiana, e hanno già prodotto 4000 referti: l’impiego di medici dall’estero cerca di dare risposte al problema della carenza di professionisti, e anche in futuro seguiremo questa strada. I problemi linguistici si stanno risolvendo“. Risposta ritenuta insoddisfacente da Honsell: “I referti non vanno tradotti in modo automatico: se ci sono stati errori di questo genere, è tragico“.
Le liste di attesa.
Il problema delle liste di attesa era al centro dell’interrogazione urgente presentata da Simona Liguori (Patto per l’autonomia-Civica Fvg), che ha chiesto alla Giunta di dare piena attuazione alla legge del 2009 che garantisce al cittadino prestazioni pagate dal Servizio sanitario regionale anche in strutture accreditate e convenzionate, nel caso si tratti di servizi particolarmente rilevanti che non siano stati erogati entro 120 giorni.
Nella sua articolata risposta, l’assessore alla Salute ha fornito informazioni sulle modalità con le quali le tre aziende sanitarie (Asfo, Asufc e Asugi) ma anche Cro di Aviano e Burlo Garofolo di Trieste gestiscono le procedure relative al rispetto dei tempi di attesa e all’accesso al privato accreditato.
“L’utente a volte si trova costretto ad andare dal privato – ha controreplicato Liguori – e da Asufc riceviamo segnalazioni di utenti che non conoscono la possibilità di farsi rimborsare le prestazioni effettuate presso operatori privati preventivamente autorizzate dalle strutture pubbliche: questo va spiegato alla gente, perché oggi ci sono molte persone malate di tumore costrette ad autogestirsi”.
Il Policlinico Città di Udine.
Manuela Celotti (Pd) ha invece interrogato l’Esecutivo sulla situazione del Policlinico Città di Udine, privato accreditato “che non può considerarsi identico all’offerta pubblica“, in merito alla dotazione dei posti letto di medicina interna dal 2020 al 2023, alla casistica dei pazienti trattati e specificatamente alle patologie prevalenti e al loro grado di complessità, comparando questi numeri con i ricoveri delle analoghe strutture dell’Asufc, azienda pubblica. “Si parla – ha ricordato l’esponente dem – di una media di 650 ricoveri all’anno nella struttura privata“.
“L’accordo con il Città di Udine – ha risposto Riccardi – prevede il ricovero di pazienti in situazione stabile all’invio, in quanto il Policlinico non ha aree capaci di gestire l’emergenza. Questo accordo ha garantito buoni volumi, con degenze medie contenute”, ha aggiunto l’assessore, prima di elencare i dati specifici mettendo a confronto il Città di Udine con le strutture pubbliche: nel 2020 sono stati 647 i ricoveri al Policlinico privato contro i 2130 e 2478 dei reparti di medicina del Santa Maria della Misericordia di Udine, i 712 della Clinica medica, i 318 di Cividale, i quasi 4000 ricoveri tra San Daniele e Tolmezzo e i 4500 di Palmanova-Latisana. “Nel primo trimestre 2023 – ha detto ancora Riccardi – si confermano queste proporzioni”.
“Si tratta di percentuali significative – ha controreplicato Celotti – e io credo che parte di quei fondi potrebbero essere usati per incrementare gli stipendi del personale che opera nel pubblico. Il tema è capire cosa faccia davvero la sanità privata convenzionata, perché oggi questa è una nebulosa”.
Il problema della carenza dei medici di medicina generale.
Il consigliere dem Massimo Mentil ha messo invece a fuoco il problema della carenza di medici di medicina generale (Mmg) in montagna, per chiedere alla Giunta quali azioni intenda intraprendere al fine di garantire l’erogazione di questo servizio primario in tutto il territorio regionale, dopo aver osservato che anche la soluzione del medico di vallata non ha prodotto i risultati sperati, “lasciando scoperte molte terre alte e anche la stessa area di Tolmezzo”.
“La preoccupazione di Mentil è di tutti, ma purtroppo non si fabbricano i medici”. ha risposto Riccardi, prima di spiegare come “la Giunta sia sempre stata attenta alle zone montane, anche prevedendo compensi accessori maggiorati del 15 per cento grazie a un accordo integrativo regionale, che possono portare lo stipendio dei medici a superare i 7000 euro. La Regione – ha aggiunto l’assessore – ha attivato tutti i rimedi possibili, aumentando anche il numero delle borse di studio per il percorso formativo. Va ricordato però che i medici di medicina generale sono liberi professionisti e che è impossibile conoscere con ampio anticipo le zone destinate a rimanere scoperte”. Una risposta che ha lasciato insoddisfatto Mentil: “Ho faticato a capire che linee si intendano intraprendere“, ha commentato il consigliere dem.
Il payback.
Serena Pellegrino (Alleanza Verdi Sinistra) ha invece posto il problema del payback, ovvero della restituzione dei soldi incassati dalle aziende che producono dispositivi medici, dopo che Confcommercio e Confindustria hanno definito quell’obbligo di partecipazione alla spesa pubblica “illegittimo, incostituzionale e pregiudizievole”. La preoccupazione è legata al diritto al lavoro dei dipendenti delle aziende danneggiate. “Stiamo parlando – ha spiegato in aula la consigliera – di molte imprese che producono dispositivi biomedicali e che saranno messe in ginocchio a causa di una norma folle tenuta nel cassetto per 7 anni… Il payback significa che i fornitori dovranno restituire parte dell’incasso, una somma che va dal 30 al 100 per cento del loro fatturato medio annuo“.
“Riconosco che la vicenda è seria e preoccupante – ha risposto Riccardi -, frutto di una norma di 7 anni fa che ci vede contrari. C’è stata una ulteriore proroga al pagamento ma il meccanismo in generale non è sostenibile, siamo anche noi preoccupati per le sorti di queste aziende e nella commissione Salute delle Regioni siamo tuti d’accordo nel cercare una soluzione al problema”. “Le Regioni – ha controreplicato Pellegrino – potrebbero far slittare il termine anche di un anno, come ha deciso la Provincia di Trento. Invece questa norma è uno strumento dato in mano agli amministratori pubblici per stroncare il servizio pubblico a favore delle multinazionali. E anche voi rimanete proni a questa legge, anche se dite che l’avete ereditata”.
Il contrasto al caporalato.
Massimiliano Pozzo (Pd) ha infine interrogato la Giunta sul fenomeno del caporalato, chiedendo “quali azioni di contrasto intenda porre in essere l’Esecutivo pe rafforzare prevenzione e contrasto, a partire dalla gestione dell’intermediazione tra domanda e offerta in capo ai Cpi e dall’analisi dell’andamento del mercato del mondo agricolo, in particolare relativamente ai contratti stagionali”. Pozzo ha anche citato la relazione annuale dell’Osservatorio antimafia che si propone un focus sul caporalato, invitando la Regione a intervenire con una proposta di legge per contrastare il fenomeno.
“Nel dicembre 2021 – gli ha ricordato l’assessore Pierpaolo Roberti – abbiamo sottoscritto assieme ad altri 29 enti pubblici e privati un progetto finanziato con 20 milioni per il contrasto allo sfruttamento lavorativo, tramite interventi di protezione sociale e la promozione di lavoro dignitoso e legalità“. Mentil, nella replica, ha confermato la disponibilità a “dare il nostro contributo anche su una proposta legislativa”, sollecitando “un tavolo di confronto permanente con sindacati e categorie economiche, con l’obiettivo di un attento monitoraggio”.