Centomila prestazioni in meno tra medicina specialistica e attività di laboratorio. È l’entità della riduzione verificatasi in cinque anni nell’ambito del servizio sanitario del Friuli Venezia Giulia, passato dalle 704.689 prestazioni complessive del 2018, data di avvio della prima Giunta Fedriga, alle 604.365 del 2023. A fornire i numeri, stilati sulla base dei dati del sistema di monitoraggio del servizio sanitario regionale, è la Cgil Friuli Venezia Giulia, nell’ambito di un’indagine presentata questa mattina a Udine dal segretario generale Michele Piga e dai segretari regionali dei sindacati della Funzione pubblica e dei pensionati, rispettivamente Orietta Olivo e Renato Bressan.
Il 14% di prestazioni in meno.
Scorporando i dati dei due Irccs regionali (Cro di Aviano e Burlo di Trieste) e analizzando le performance delle tre aziende territoriali, il calo medio è del 14%, con punte superiori al 18% per Asufc e Asfo, mentre l’Asugi contiene la riduzione al 4,4%.
I dati, che tengono conto conto sia dei servizi direttamente erogati dalle strutture pubbliche che di quelli del privato convenzionato, evidenziano sì la forte flessione causata dalla pandemia, ma anche un recupero molto lento dopo la fine dell’emergenza.
Le liste di attesa
A preoccupare non è soltanto la riduzione delle prestazioni erogate: anche la tempistica, rileva la Cgil, sta peggiorando di anno in anno. A livello regionale, e con notevoli differenze tra le diverse aziende, nel 2018 le prestazioni venivano erogate nei tempi per l’80,29% dei casi. Il dato scende al 60,75% nel 2023. Quasi il 40%, in sostanza, viene erogato oltre i tempi.
La situazione diventa ancora più critica analizzando le prestazioni con priorità B, cioè quelle che dovrebbero essere garantite entro 10 giorni dalla richiesta. A livello regionale nel 2018 le prestazioni venivano erogate nei tempi per circa l’80% dei casi. Il dato scende a poco sopra il 50% nel 2023.
Dati già negativi, denuncia la Cgil, e che sarebbero ancora peggiori se fossero stati elaborati tenendo conto delle agende chiuse, cioè di tutte quelle situazioni nelle quali non è possibile prenotare una prestazione semplicemente perché non è disponibile. Se si tenesse conto di questa pratica, «diffusa e inaccettabile, oltre che illegale», denuncia la Cgil, i dati sarebbero ancora peggiori. Resta l’effetto, che è quello di contribuire a spingere ancora di più spinge l’utenza verso il privato profit. Secondo il portale Agenas, il Fvg nel 2023 (dati relativi al primo trimestre) è stata la regione con la più alta riduzione delle prestazioni offerte rispetto all’anno precedente (-11,2%) e la seconda (dietro alla Basilicata) considerando solo le prime visite (-12,3%).
Sos oncologia.
I ritardi diventano drammatici in alcune situazioni specifiche, come quella della chirurgia oncologica. Il FVG presenta un quadro desolante, come si evince dal grafico che evidenzia in rosso la percentuale di interventi chirurgici che non rispettano i tempi dovuti.
Una situazione non dovuta ad un improvviso marcato aumento della casistica, denuncia la Cgil, ma a un evidente deficit nell’organizzazione dei servizi. Da un confronto negli anni si percepisce come la situazione sia sempre sotto il 75% di rispetto dei tempi e peggiori sensibilmente per le patologie più critiche. Quanto ai dati medi, e fermandosi alla priorità A, se nel 2019 i tempi erano rispettati nel 60,8% dei casi, indice di una situazione di partenza già negativa, la percentuale era scesa al 57,3% nel 2023. Altro fronte particolarmente critico quello degli interventi muscolo scheletrici, erogati oltre i tempi in più di un caso su 2 (49,5%, contro il 68,1% del 2019).
L’esodo verso le altre regioni.
La crescita dei tempi di attesa, naturalmente, alimenta la fuga verso strutture pubbliche e private di altre regioni, in particolare del vicino Veneto, sommando al disagio delle persone il danno economico per le casse regionali, chiamate a rimborsare le prestazioni erogate altrove. Il dato economico complessivo della mobilità passiva dal FVG ammonta, per il 2022, a oltre 46,5 milioni di euro solo per i ricoveri. E il 63% di questa spesa, circa 30 milioni, è destinato al privato accreditato.
A questi dati vanno aggiunti i quasi 22 milioni di euro di fuga per la specialistica ambulatoriale, portando il totale a 68 milioni (dato che non include, ovviamente, quanto sborsato di tasca propria dai cittadini del Fvg per le prestazioni erogate direttamente dal privato). I risultati del Piano nazionale esiti 2022, spiega ancora la Cgil, segnalano un drammatico 20% medio di mobilità passiva (in pratica un cittadino del FVG su 5 si rivolge altrove), ma vi sono alcune patologie per le quali il ricorso ad altre regioni è sensibilmente più alto.
La crescita del privato.
A fronte della rilevata contrazione delle prestazioni complessivamente finanziate dal Ssr, le spese per l’acquisto di prestazioni dal privato accreditato sono cresciute del 20,6% tra il 2019 e il 2022, passando da 106, 2 a 128, 1 milioni. A livello aziendale gli acquisti prestazioni da privato accreditato crescono soprattutto presso Asufc (+32%), anche se le altre aziende mostrano livelli assoluti di spesa più alti, soprattutto in rapporto alla popolazione servita (in particolare Asugi). Una crescita, quella della spesa per l’acquisto di servizi dal privato, che non ha ha portato vantaggi né sui volumi di produzione né sui tempi di attesa. Segno che le criticità, come rilevato anche dalla Corte dei Conti nell’ultima relazione annuale e come denunciato a più riprese dalla Fp Cgil e dagli altri sindacati di categoria, vanno messe in relazione con la carenza di risorse umane e con la pianificazione e organizzazione dell’attività lavorativa.
Rinuncia alle cure e invecchiamento.
Chi non si può permettere di sostenere spese aggiuntive rispetto a quanto già paga versando le tasse, denuncia la Cgil, spesso rinuncia a curarsi. “Un fenomeno in aumento e inaccettabile perché va contro i principi del sistema sanitario universalistico, che deve garantire il diritto alla salute dei cittadini“. Ad aggravare la situazione l’aumento delle patologie croniche collegato alle dinamiche demografiche, un fenomeno destinato ad acquisire un peso crescente nel tempo, ha ammonito il segretario regionale dello Spi Cgil Renato Bressan, ricordando che oggi gli over 65 sono il 26% della popolazione, gli over 80 quasi 110mila, i grandi anziani (over 85) 55mila, con un numero di potenziali caregiver in costante discesa. Emergono nuovamente, inoltre, patologie che nel corso degli anni erano scomparse e ciò è dovuto, denuncia la Cgil, a sempre più evidenti carenze del Servizio sanitario regionale nella presa in carico precoce.
Serve un cambio di rotta.
Parte da questi dati e da queste premesse un duro giudizio politico, accompagnato da una richiesta di una svolta. “Che la situazione sia figlia di incapacità gestionale da parte del presidente Fedriga, della Giunta Regionale, dell’Assessore competente e delle Aziende, oppure sia dovuta ad una scelta consapevole per spingere la privatizzazione della sanità – si legge nel documento – il risultato è che appare assolutamente necessario un radicale cambio di rotta“.
“Un giudizio che diventa di maggiore criticità nei confronti del Presidente della Regione – denuncia Piga – in considerazione del suo ruolo di Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, che dovrebbe portarlo a svolgere , in quella importante sede, proprio a svolgere una funzione di argine rispetto alle drammatiche politiche sanitarie del governo nazionale“.
Il ruolo del SSR.
“Ciò che deve caratterizzare il servizio sanitario pubblico – si legge nella parte conclusiva del documento – è la sua capacità di “prendersi cura” delle persone e delle comunità, intendendo con ciò una sanità strettamente sinergica con altri momenti del welfare comunitario. Si Un buon servizio pubblico non è dato dalla somma delle prestazioni erogate, ma dalla capacità di farsi carico delle questioni sanitarie dei singoli e della popolazione in generale, analizzando criticità, stato di salute, bisogni, caratteristiche, e di conseguenza, riuscendo a modulare risposte adeguate alla comunità di riferimento attraverso la presa in carico delle persone, l’efficacia delle reti clinico-assistenziali, dei percorsi di salute individuali, della medicina del territorio e di comunità e non della semplice erogazione di prestazioni”.