Il flop del referendum sulla giustizia in Fvg.
Domenica 12 giugno si è tenuto il Referendum Giustizia che chiedeva l’abrogazione di alcune leggi in vigore tramite cinque quesiti presentati agli italiani.
Precisamente, essi riguardavano: la cancellazione della Legge Severino (eliminando quindi l’incandidabilità prevista dalla legge per le persone condannate per vari reati); la limitazione delle misure cautelari (dando la possibilità di lasciare liberi coloro che sono stati accusati di casi di non particolare gravità, eliminando quindi la reiterazione del reato); la separazione delle funzioni dei magistrati (obbligandoli a scegliere un unico ruolo da ricoprire prima di iniziare la carriera); la possibilità che i membri laici partecipino alla valutazione sui magistrati (aprendo quindi le valutazioni anche ad avvocati e professori universitari e non solo ai magistrati) ed infine le elezioni del Comitato superiore della Magistratura (eliminando l’obbligo di raccolta firme per poter presentare la candidatura).
Al referendum, però, si è presentato solamente il 20,9% degli italiani, ovvero due persone su dieci. In Friuli Venezia Giulia la media è stata leggermente superiore, arrivando al 26%. Tra le province della regione, è Gorizia quella con la percentuale più alta (39%) con a capo Monfalcone (51%) e Ronchi dei Legionari (47%), aiutate forse anche dalla presenza delle elezioni comunali.
Come mai l’affluenza è stata così bassa? Varie le motivazioni.
Partendo da quelle più ‘immediate’, si può considerare la complessità dei quesiti proposti che necessiterebbero di avere un’approfondita conoscenza dell’argomento per poter pronunciarsi con una sicurezza maggiore. Conferma ciò anche la politica Giorgia Meloni che ritiene sia mancata una giusta comunicazione che potesse chiarire le idee ai cittadini, avvicinandoli alla tematica.
Di altra opinione la senatrice Loredana De Pretis ed altri politici che considerano invece come problema principale il quorum, considerato ad oggi ‘inutile e superato’ in un Italia in cui si registra ormai ripetutamente il crollo delle affluenze. Molti politici chiedono per questo di riformarlo perché, altrimenti, non passerebbe più nessun referendum.
Ma l’assenteismo può essere un chiaro segno di dissenso al referendum stesso: è proprio di questo che è convinta l’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) che commenta all’Adnkronos: “Alcuni quesiti erano nati sotto il segno della rivalsa nei confronti della magistratura (…) i cittadini probabilmente hanno colto l’uso strumentale del referendum (…)”, disertando quindi le urne.
In tutto questo si deve infine tener conto anche del calo costante dei cittadini alle urne che pian piano continua ormai da quasi quarant’anni. Molto spesso la causa è la sfiducia degli italiani per la politica che viene etichettata come ‘ridicola’: “Destra e sinistra, ormai, è uguale” è il ‘leit-motiv’ che frequentemente accompagna lo scambio di opinioni nei bar come sui social.
Il disinteresse portato dallo scetticismo ha successivamente alimentato l’indifferenza anche nelle generazioni successive, alle quali però sono rimaste estranee le motivazioni dell’allontanamento dei genitori. Del tutto assenti di una prospettiva politica, i giovani risultano quindi ‘vagare’ nei meandri dei social dove possono rendersi partecipi sì, di ideologie all’avanguardia e di larghe vedute, ma troppo spesso generiche e aeree, quindi non legate ad un processo preciso di conoscenze e valori che possano poi a portare ad applicarle nel concreto del reale. Per fortuna, però, non tutti si fermano a ciò: l’interesse delle macro-tematiche ha portato vari giovani in tutto il paese ad interessarsi anche al particolare, dando vita a svariati gruppi che desiderano candidarsi, risvegliando così nei coetanei
l’interesse per le questioni locali che andranno pian piano a creare il loro futuro, partendo da ciò che è loro vicino.