La carenza di personale nei piccoli comuni del Friuli Venezia Giulia.
I numeri sono impietosi: dal Duemila a oggi il Friuli Venezia Giulia ha perso 2000 dipendenti a livello di comparto unico, come ha riferito Manuela Celotti (Pd) illustrando la sua richiesta di audizione sulla carenza di personale negli enti pubblici. E se allarghiamo lo sguardo all’intero Paese, come ha fatto l’assessore alle Autonomie locali Pierpaolo Roberti, un terzo dei Comuni italiani, ben 2437 municipi, viaggia – si fa per dire – con meno di cinque dipendenti. Nel corso di una lunga seduta della V Commissione sono state messe a fuoco molte altre criticità del sistema, con un’analisi per la maggior parte condivisa tra consiglieri di Maggioranza e di Opposizione.
Si è partiti dalle relazioni degli auditi, ovvero i vertici dell’Anci Fvg. Con il coordinatore regionale della Consulta per i piccoli Comuni, Franco Lenarduzzi, che ha introdotto uno dei temi più citati nel corso del successivo dibattito, l’idea di una scuola di formazione per la pubblica amministrazione, con l’attivazione di corsi-concorso per ridurre i tempi delle assunzioni. Il segretario generale dell’associazione dei Comuni, Alessandro Fabbro, ha invece messo il dito nella piaga degli attuali concorsi, scelti quasi sempre da chi ha già un lavoro nel comparto unico. Come dire che il pubblico impiego non attrae più i laureati in cerca di occupazione. E il presidente di Anci, Dorino Favot, ha auspicato la possibilità di utilizzare concorsi regionali anche per la copertura di posti nei Comuni, specie i più piccoli, in difficoltà nell’organizzazione dei bandi.
Tutti temi ripresi da Roberti nel suo primo intervento. In cui ha voluto innanzitutto ricordare “le risposte già date dalla Giunta, in particolare con il sistema delle soglie che ha rimosso il problema dei vincoli sul turnover del personale, e con il braccio operativo dell’Anci, la Conpa, in grado di fornire supporto ai Comuni in difficoltà”. Poi l’assessore è passato alle risposte da dare al nuovo, grande problema, maturato negli ultimi 5 anni, e cioè che “ora, pur potendo assumere, non si trova più il personale“. Bisogna allora, ha suggerito, “raccontarsi in modo diverso, cambiare linguaggio, con una campagna comunicativa simile a quella adottata da altri soggetti pubblici come l’Esercito”, andando incontro ai futuri dipendenti già nelle scuole. L’altra strada maestra secondo Roberti è l’approdo al “concorsone”, ovvero a “graduatorie uniche tra Regione e Comuni, con un unico concorso per tutte le figure professionali richieste. Ma può funzionare solo se la gran parte dei municipi aderiscono”.
Ampia la platea dei consiglieri, in gran parte ex sindaci, che hanno scelto di intervenire. Mauro Di Bert, capogruppo di Fedriga presidente, è convinto che oggi “la Regione abbia pochi margini di manovra perché il comparto è complesso e si è costretti ad operare dentro una stratificazione normativa incredibile. L’alternativa è scardinare completamente il sistema e ridisegnarlo da capo”. Di Bert auspica comunque “indennità per chi opera nei piccoli Comuni, legate alle maggiori assunzioni di responsabilità. Anche la scuola di formazione è un’ottima idea. E bisogna rendere fascinosa l’attività del dipendente pubblico, un po’ come hanno fatto i cuochi tramite trasmissioni tv e fiction”.
Favorevole al corso-concorso “che aumenterebbe l’attrattività e il buon nome dei dipendenti pubblici” anche Marco Putto (Patto-Civica), che pensa pure “all’opportunità che potrebbe fornire la reintroduzione delle Province in termini di risposte agli enti locali“. Quanto ai modelli organizzativi, il consigliere reputa “impensabile un futuro senza fusioni tra piccoli Comuni”. Del possibile ruolo dei nuovi enti intermedi ha parlato anche il collega di gruppo Enrico Bullian, immaginando “una stazione appaltante che faccia riferimento alla Provincia”.
Sì convinto anche “alle graduatorie uniche regionali, progetto da perseguire con decisione“. Meno entusiasta della proposta di centralizzare i concorsi invece Andrea Carli (Pd), che ha invitato a tener presenti i problemi logistici di spostamento dei lavoratori, invitando ad adottare “almeno una dimensione provinciale”. Invoca “una riorganizzazione burocratica e amministrativa” Rosaria Capozzi (M5S), favorevole dal canto suo “alla graduatoria unica regionale, per evitare la cosiddetta migrazione concorsuale“.
Francesco Martines (Pd) ha spostato invece il focus sull’organizzazione, convinto che “anche per risolvere il problema della carenza di personale servano le aggregazioni degli enti, attorno a Comuni che siano già strutturati: su questo i cittadini, a cui interessano i servizi, sono già più avanti di noi. Bisogna incentivare economicamente l’aggregazione di funzioni e dare, da parte della Regione, indicazioni sulle possibili unioni territoriali”. Igor Treleani (FdI) ha condiviso l’analisi di Martines sulle caratteristiche di precarietà e fluidità del lavoro a cui oggi molti giovani sono abituati, e si è chiesto provocatoriamente “se sia davvero indispensabile che i dipendenti che vanno a lavorare nei Comuni debbano far parte del comparto unico”, immaginando “altre forme di reclutamento del lavoro”. Ha insistito sulle aggregazioni anche Furio Honsell (Open): “Oggi se non hai giuristi e urbanisti non vai da nessuna parte, non c’è altra via di uscita se non quella scelta già trent’anni fa dalla Francia, con la comunità di Comuni, pur mantenendo i sindaci. E bisogna adeguare gli stipendi, oggi troppo bassi“.
Un’aggregazione di Comuni che “va rafforzata” anche secondo Massimiliano Pozzo (Pd), che è favorevole alla proposta del concorso unico “per evitare la presenza delle stesse persone in molte e diverse graduatorie”. Il consigliere dem chiede inoltre “una ricognizione puntuale dei procedimenti amministrativi nei Comuni”, spesso troppo complessi e onerosi. “Ok alla scuola di formazione”, ha detto infine la collega del Pd Laura Fasiolo, “ma che sia snella ed efficace come un open day. Nei Comuni servono persone competenti, utilizzando anche l’esperienza di chi è già in pensione per affiancare i giovani nel processo formativo”.
La parte finale del dibattito ha visto un vivace botta e risposta tra Roberti e la consigliera Celotti, che ha chiesto “di uscire da qui con un mandato chiaro alla Giunta, se non altro per bloccare l’esodo dei dipendenti: introdurre le premialità che i sindaci chiedono e che devono essere sostanziali. Se non ci muoviamo in questo senso, abbiamo perso la sfida in partenza”.
L’assessore le ha replicato ricordando “che i nostri contratti devono essere certificati dalla Corte dei Conti, e questo vale anche per le indennità. Se triplicassi le indennità per i piccoli Comuni, da un’altra parte dovrei andare a tagliare, anche perché la Corte dei Conti fa il confronto tra noi e il Veneto, Regione ordinaria, dove le paghe dei comunali sono più basse”.