Mobilità sanitaria, la “fuga” dei pazienti friulani verso altre regioni costa 12 milioni l’anno

I dati della Fondazione Gimbe sulla mobilità sanitaria.

Continua la fuga dei pazienti friulani verso le sanità di altre regioni: a dirlo è il nuovo rapporto della Fondazione Gimbe sulla mobilità sanitaria che vede aumentare il saldo negativo, ossia la differenza tra risorse ricevute per curare pazienti provenienti da altre Regioni e quelle versate per i propri cittadini che si sono spostati altrove, di oltre 4 milioni in un anno.

In Friuli Venezia Giulia.

Se nel 2021 il saldo era di -7,6 milioni, l’anno successivo ha raggiunto i -11,8 milioni, un disavanzo che comunque viene considerato ancora contenuto. La regione si posiziona al 13° posto per i crediti, con un totale di 92,37 milioni di euro, mentre per i debiti occupa la 17a posizione, con un ammontare di 104,13 milioni di euro (in entrambi i casi, in calo di una posizione rispetto al 2021).

Un elemento significativo analizzato da Gimbe riguarda il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte delle strutture private. Questo aspetto è considerato un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate. In questo contesto, la Regione Friuli Venezia Giulia si colloca in 15a posizione, con le strutture private che contribuiscono al 25% del valore totale della mobilità sanitaria attiva regionale (ossia quella in entrata). Un valore è significativamente al di sotto della media nazionale, che si attesta al 54,4%.

La mobilità sanitaria a livello nazionale.

Nel 2022, la mobilità sanitaria interregionale ha raggiunto la cifra record di 5,04 miliardi di euro, il livello più alto mai registrato e superiore del 18,6% a quello del 2021 (4,25 miliardi). I dati elaborati dalla Fondazione Gimbe confermano anche il peggioramento dello squilibrio tra Nord e Sud, con un flusso enorme di pazienti e di risorse economiche in uscita dal Mezzogiorno verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che si confermano le Regioni più attrattive.

“Questi numeri – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione – certificano che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali. Sempre più persone sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate, con costi economici, psicologici e sociali insostenibili”.

Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto raccolgono da sole il 94,1% del saldo attivo della mobilità sanitaria, ovvero la differenza tra risorse ricevute per curare pazienti provenienti da altre Regioni e quelle versate per i propri cittadini che si sono spostati altrove. A pagare il prezzo più alto sono Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia, che insieme rappresentano il 78,8% del saldo passivo. “Il divario tra Nord e Sud non è più solo una criticità, ma una frattura strutturale del Servizio Sanitario Nazionale – avverte Cartabellotta – che rischia di aggravarsi con la recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata. Una riforma che, senza adeguati correttivi, finirà per cristallizzare e legittimare le diseguaglianze, trasformando il diritto alla tutela della salute in un privilegio legato al CAP di residenza”.