Circa 30mila persone in Friuli Venezia Giulia soffrono di Fibromialgia.
La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da dolore cronico, depressione, alterazioni del sonno e del riposo, disturbi della memoria. In Italia si stimano circa 2 milioni di malati (90% sono donne) dei quali più o meno 30 mila risiedono nella nostra regione (circa il 3% della popolazione regionale). I numeri sono riferiti a stime fatte dal Comitato Fibromialgici Uniti (CFU) che si occupa delle persone ammalate di quella che viene definita la “malattia invisibile” dal momento che in tanti casi ci vogliono anni prima di arrivare alla diagnosi pur compromettendo molto, nel frattempo, la qualità di vita di chi ne soffre. Dopo Covid-19 il rischio di fibromialgia pare sia cinque volte più alto rispetto al normale (dati studio pubblicato su Plos One) ed è anche per questo che l’attenzione verso la fibromialgia deve sempre essere alta. Il punto della situazione in Friuli Venezia Giulia è stato fatto oggi a Udine dalla coordinatrice Elisa Lombardi e alcuni associati del CFU con la consigliera regionale Simona Liguori, medico e vicepresidente della Commissione sanità.
“Le preoccupazioni del Comitato – ha spiegato Liguori – sono anche le nostre. Tra le difficoltà per arrivare ad una diagnosi ed essere creduti e la necessità di non essere considerati invisibili oppure semplicemente depressi, la realtà di un malato di fibromialgia andrebbe affrontata con maggiore interesse da parte delle Istituzioni, portando soluzioni concrete a livello nazionale e regionale. Cosa si potrebbe fare nel concreto? Il CFU e la sottoscritta attraverso numerosi atti d’Aula, attendono da anni che venga attivato il registro regionale della fibromialgia (la cui istituzione è per altro prevista dalla legge regionale 13/2017 e che consentirebbe una stima di tutte le persone affette da questa terribile patologia). A livello nazionale gli ammalati attendono che la fibromialgia venga inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), gli elenchi ministeriali delle patologie croniche. E poi c’è sempre l’annosa questione delle liste d’attesa dato che per la terapia del dolore nelle strutture sanitarie regionali serve ancora molto tempo prima di potervi accedere”.
“I dati epidemiologici e clinici ottenuti grazie al registro – ha aggiunto Liguori – potrebbero ampliare la conoscenza della malattia, migliorare il percorso diagnostico/terapeutico e favorire un approccio personalizzato, mettendo al centro del progetto il malato e le sue necessità. Il fatto che la fibromialgia non sia inclusa nei LEA significa che i pazienti non hanno il diritto a esenzioni per visite, esami e terapie e questo complica non poco la gestione della sindrome, per la quale sarebbe importante creare percorsi adeguati così da ridurre i tempi per la diagnosi e garantire una presa in carico assistenziale adeguata alla qualità della vita di chi soffre”.