Lo studio sulle conseguenze degli incendi sul Carso del 2022.
I terrificanti incendi che hanno colpito il Carso nel 2022 sono impressi nella memoria delle persone, ma anche sulla natura: le fiamme, che hanno incenerito circa 4.100 ettari di superficie forestale tra l’Italia e la Slovenia, hanno determinato la perdita, mediamente, di quasi il 50% della biomassa presente sul territorio interessato.
I roghi sono stati favoriti anche dalla biomassa vegetale secca accumulatasi a seguito di ripetute estati siccitose. Il bosco, comunque, si sta già rigenerando in maniera massiccia. Per quanto riguarda gli animali, dalla primavera successiva all’incendio le zone bruciate sono state utilizzate con grande intensità a fini alimentari da alcune specie di erbivori quali capriolo e lepri. Anche le varie comunità di uccelli presenti nelle aree incendiate evidenziano cambiamenti rispetto a quelle presenti nelle zone non colpite.
Sono questi alcuni dei principali risultati delle indagini effettuate dalle Università di Udine e di Trieste, con il sostegno dei volontari di Legambiente, sul territorio colpito dai roghi. Un punto della situazione è stato fatto oggi a Gorizia, nel polo di Santa Chiara con il convegno “Risorgere dalle ceneri? Conseguenze e prospettive ecologico-gestionali dell’incendio del Carso del 2022”. Sono intervenuti studiosi di varie discipline dei due Atenei e tecnici del Corpo forestale della Regione Friuli Venezia Giulia.
Il bosco e la biodiversità
Combinando misure a terra con rilievi da satellite è stato possibile quantificare l’entità del danno al bosco e la reazione post-evento. I danni maggiori si sono riscontrati in aree dominate dallo scotano o dall’orniello, mentre la roverella ha mostrato una maggiore resistenza al passaggio del fuoco.
Tuttavia, il bosco si sta già vigorosamente riproducendo attraverso il riscoppio delle ceppaie e la rinnovazione da seme, in particolare dove l’intensità dell’incendio è stata minore. La composizione specifica post-incendio è strettamente legata all’intensità dell’evento.
I dati, presentati da Giorgio Alberti e Francesco Boscutti dell’Università di Udine, “dicono che la ricchezza specifica aumenta linearmente con questa ultima, indipendentemente se si prendono in considerazione specie native o specie alloctone”. Inoltre, grazie ai rilievi eseguiti è stato possibile indagare nel dettaglio le strategie adattative messe in atto dalle diverse specie nel riconquistare lo spazio dopo l’evento, mettendo in luce tratti funzionali profondamente diversi a seconda della specie e delle caratteristiche dell’ambiente dopo l’incendio.
I mammiferi
È in corso una ricerca specifica che sta valutando la loro presenza e l’utilizzazione delle zone incendiate e non da parte dei medi e grandi mammiferi e il loro comportamento. Dai primi risultati emergono processi molto dinamici e specifici nelle diverse aree e per le diverse specie.
La primavera successiva all’incendio le zone bruciate sono state utilizzate con grande intensità da alcune specie di erbivori quali capriolo e lepri a fini alimentari, meno da cervo e cinghiale che mostrano comunque un forte incremento soprattutto nelle zone non incendiate.
Lo sciacallo dorato, specie tipica di quest’area, dove mostra altissime densità di presenza, appare maggiormente presente nelle zone non incendiate, anche se dopo qualche mese dall’incendio aveva mostrato un apparente aumento della frequentazione dell’area interessate dagli incendi. Per questa specie appare interessante capire il fenomeno che ha interessato il carso goriziano dove nel corso del 2023 c’è stato un forte aumento della mortalità da incidenti stradali e ferroviari, e se questa può essere o meno collegata direttamente o indirettamente ai grandi incendi del 2022 e/o ad altri fattori.
Le diverse aree confrontate per le strutture e la composizione della componente arborea, tipo di sottobosco e intensità del fuoco che hanno subito, mostrano delle loro dinamiche specifiche in termini di presenza degli animali, cosi come anche il comportamento degli animali rilevati con le fototrappole.
Il gruppo di ricerca di gestione e conservazione della fauna dell’Ateneo friulano sta svolgendo da oltre dieci anni ricerche sui mammiferi nell’ambito del Carso goriziano e triestino. “In questo contesto – spiega il coordinatore del gruppo, Stefano Filacorda – il grande incendio del 2022 ha fornito nella drammaticità dell’evento un’opportunità per studiare e confrontare le dinamiche di presenza e di comportamento di molte specie di mammiferi presenti sul Carso”.
Gli habitat.
Attraverso i processi della successione ecologica gli habitat colpiti dal fuoco possono ricostituirsi spontaneamente, ma il cambiamento climatico e l’espansione delle specie esotiche e invasive possono portare a una modificazione della composizione floristica, delle caratteristiche e del dinamismo degli habitat. È quanto è emerso dai primi risultati del monitoraggio sviluppato per analizzare le conseguenze degli incendi sulla composizione in specie e i processi dinamici dei principali habitat del Carso presentati da Miris Castello, dell’Università di Trieste.
L’acqua nella vegetazione.
La possibilità di stimare il contenuto d’acqua della vegetazione da remoto è fondamentale per monitorare il rischio di propagazione degli incendi ad ampia scala. Nel Carso, l’indice NDWI ottenuto da immagini satellitari – che utilizza le lunghezze d’onda dell’infrarosso per monitorare i cambiamenti nel contenuto d’acqua delle foglie – è risultato correlato a misure di contenuto d’acqua effettuate in aree sperimentali.
Così Francesco Petruzzellis, dell’Università di Trieste, che ha sottolineato come “lo sviluppo di un modello di previsione del contenuto d’acqua della vegetazione specifico per l’area del Carso potrebbe rappresentare uno strumento rilevante per determinare il rischio incendi durante i periodi di siccità”.
Specie legnose e rischio incendi.
Gli incendi del 2022 sono stati favoriti dalla biomassa vegetale secca accumulatasi a seguito di ripetute estati siccitose. L’analisi della tolleranza allo stress idrico delle diverse specie legnose native e invasive presenti sul Carso, unita alla caratterizzazione dell’infiammabilità della loro biomassa a diversi contenuti di acqua, permette, ha spiegato Andrea Nardini, dell’Università di Trieste, “di individuare il livello di rischio di incendio associato alla presenza e abbondanza di ciascuna specie negli scenari climatici futuri”.
Le conseguenze sugli uccelli.
A quasi due anni dagli incendi, le comunità ornitologiche del Carso italiano e sloveno evidenziano cambiamenti rispetto a quelle presenti nelle zone non colpite. Davide Scridel, dell’Università di Trieste, ha esplorato quali caratteristiche biologiche ed ecologiche di ciascuna specie possano determinare la loro posizione come “vincitori” o “perdenti”. “Sebbene le aree incendiate ospitino un numero inferiore di specie e individui – ha detto Scridel –, gli effetti variano tra le diverse specie e gli habitat”.
Il contributo della Forestale.
Il Corpo forestale regionale della Regione Friuli Venezia Giulia opera a vari livelli nel sistema regionale di difesa dei boschi dagli incendi. “L’operatività – ha spiegato Dario Cancian, del Servizio foreste e corpo forestale della Regione – non si limita alla cosiddetta “lotta attiva” alle fiamme ma comprende attività di previsione e prevenzione, attuate attraverso la vigilanza, la gestione del territorio, la concessione di contributi e le azioni investigative. Il rilievo delle superfici percorse dal fuoco e la raccolta di numerosi dati legati agli eventi occorsi contribuiscono inoltre alla ricerca ed alle elaborazioni statistiche sul fenomeno”.
Il convegno è stato organizzato nell’ambito delle attività di divulgazione del Centro nazionale biodiversità finanziato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del progetto Wildcard, guidato dall’Università di Udine.