L’animale domestico? Un compagno di vita, ma attenzione a non umanizzarlo

L’animale domestico è un vero e proprio compagno di vita, ma non va umanizzato. E’ questo il pensiero della dottoressa Silvia Avella, consigliera dell’Ordine degli psicologi del FVG nonché psicologa psicoterapeuta esperta in relazioni uomo-animale.

Negli ultimi anni, all’interno del nucleo familiare, si è fatta strada una nuova visione del ruolo dell’animale: dall’idea di tenere in giardino un cane che serva soltanto svolgere una funzione di guardiano, a quella di un quattro zampe inserito appieno all’interno della famiglia. In occasione della giornata internazionale dei diritti dell’uomo e degli animali vale dunque la pena riflettere sul ruolo di quest’ultimi all’interno della famiglia.

Animale domestico compagno di vita.

Gli umani non sono più i loro “proprietari”, ma dei compagni di vita. “Non bisogna più agire l’ormai desueto concetto di dominanza, ma neppure cadere nell’estremo opposto e quindi fare l’errore di antropomorfizzare il cane o il gatto – spiega la dottoressa – . Gli animali rimangono sempre animali e appartengono a specie differenti con esigenze specifiche; per esempio devono poter uscire l’orario interagire con i propri simili in libertà”.

In Friuli Venezia Giulia.

Il Friuli Venezia Giulia è una regione da sempre molto attenta alla tutela degli animali d’affezione e al loro benessere. E’ stata la prima regione d’Italia a dotarsi di una legge che riconosce tra gli animali d’affezione anche i maiali, i conigli, i porcellini d’India e così via, ed è dello scorso 2 dicembre la notizia dell’approvazione in via preliminare da parte della Giunta del regolamento per la concessione dei contributi per l’ammodernamento, l’acquisto o la costruzione di ricoveri per cani, gatti e altri animali d’affezione.

Anche in Fvg, complice la pandemia, si è verificato un sostanziale incremento nelle adozioni dei cani e gatti. Nel 2021 tuttavia, il fenomeno si è ridotto e ci sono state anche alcune “restituzioni”. “Talvolta il rischio è che l’animale venga adottato con l’idea di attribuirgli un ruolo che non riesce a sostenere – commenta la dottoressa Avella -. Capita che mi chiedano di intervenire in situazioni in cui è stato consigliato di prendere un cane per aiutare un anziano con una patologia degenerativa o un gatto per stare a fianco a un bambino autistico evidenzia la dottoressa – che si occupa sia di interventi assistiti con animali che di relazione uomo e cane.

Ma questo tipo di scelta non la consiglierei: prendere un animale dedicato a una persona con una fragilità non è un vero e proprio sinonimo di Pet Therapy. La famiglia dovrebbe scegliere di adottare un animale con l’intenzione di ampliare il proprio nucleo e con la consapevolezza di quale impegno comporti. Se poi tra i membri ci sono persone in situazioni di fragilità è molto probabile che l’animale sia d’aiuto e sappia offrire un sostegno emotivo. Al contrario, scegliere di adottare un animale con l’unica finalità di curare la persona può ripercuotersi in maniera negativa su un intero nucleo familiare e in particolare sull’animale stesso, che con buone probabilità non riuscirà a soddisfare le aspettative correndo il rischio di essere restituito“.

La Pet Therapy.

Gli interventi assistiti con animali (prima conosciuti con il termine di Pet Therapy), sono un’altra cosa: come indicato dalle Linee Guida Nazionali, alle spalle c’è un’equipe multidisciplinare che struttura un progetto ad hoc e su questa base sceglie l’animale più adatto, che comunque svolge soltanto un certo numero di ore alla settimana di terapia, spiega Avella. Non tutti gli animali sono adatti a svolgere un ruolo di questo tipo e non esistono cani, asini, cavalli, gatti o conigli che vadano bene per qualsiasi intervento: per esempio ci saranno quelli che lavorano bene con la prima infanzia e non con gli anziani e viceversa.

La scelta, secondo quanto affermato dalla dottoressa, viene fatta in base all’altitudine dell’animale. Anche perché soltanto se l’animale è sereno la persona può beneficiarne. Quanto agli ambiti di intervento sono i più svariati: si può lavorare sull’autostima, sul sostegno emotivo, sulle abilità motorie, linguistiche o di relazione, sulla riduzione dei comportamenti problematici, sul bullismo, la depressione e l’ansia.

Un animale offre una forte spinta motivazionale, perché ha un valore emotivo ed è un individuo non giudicante: è dimostrato che quando interagiamo con gli animali il nostro organismo rilascia l’ormone del buon umore, l’ossitocina”. E sempre più l’approccio all’animale è di tipo sistemico: anche gli animali possono cioè presentare quadri psicopatologici che vanno sostenuti e valutati da specialisti come i veterinari esperti in comportamento. “In altre parole è sbagliato continuare a pensare che gli animali offrano solo dei benefici all’uomo: trattandosi di una relazione duale anche l’essere umano può fare del bene o del male all’animale”, conclude Avella.