I risultati dello studio sulle aggressioni ai sanitari durante la campagna vaccinale.
Indagare sugli episodi violenti contro gli operatori sanitari durante la campagna di vaccinazione contro il Covid-19 in Friuli Venezia Giulia tra il 2021 e il 2022, esaminando i fattori di rischio e di protezione e valutando l’impatto sul benessere psicologico delle vittime. Era l’obiettivo di una ricerca condotta dall’Università di Udine e dall’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale (Asufc) in collaborazione con l’Azienda sanitaria Friuli Occidentale e l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina. Duecento gli operatori che hanno aderito all’indagine, che si è svolta online con la garanzia dell’anonimato. La ricerca era composta da un questionario con 75 domande, comprendenti anche due test per analizzare gli episodi di violenza contro i sanitari e il loro impatto sul benessere psicologico.
La situazione.
Il fenomeno della violenza contro gli operatori sanitari negli ultimi anni sta ricevendo un’attenzione crescente per l’aumentata frequenza e il suo impatto sull’incolumità fisica e sul benessere psicologico delle vittime e sui servizi sanitari erogati “Nonostante questa attenzione, si sa poco dell’incidenza del fenomeno della violenza nell’ambito dell’attività di vaccinazione pubblica“, spiegano i coordinatori dell’indagine, Laura Brunelli, dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale, e Luca Arnoldo, del Dipartimento di Medicina dell’Ateneo friulano.
I risultati.
Dalle risposte è emerso che il 46,5 per cento dei 200 operatori sanitari che hanno partecipato al questionario è stato vittima di un atto di violenza fisica o verbale sul posto di lavoro. Circa la metà ha riferito che tale episodio di violenza ha influito negativamente sul proprio benessere psicologico, un terzo che le conseguenze hanno avuto ripercussioni anche sulla vita familiare e sociale.
La probabilità di denunciare questi episodi di violenza è risultata essere uniformemente distribuita tra gli operatori – il 50,5 per cento degli infermieri e il 40,9 per cento dei medici –, seppur più frequente tra i partecipanti con alle spalle percorsi di formazione più lunghi. Sebbene la maggior parte degli episodi segnalati è stata di natura verbale, 60 episodi contro i 6 di natura fisica, più di un terzo delle vittime ha sviluppato sintomi di stress post-traumatico. L’incidenza di questi sintomi è stata più alta tra i professionisti in prima linea, come personale vaccinatore e responsabili di seduta, i più esposti alle reazioni dei cittadini che si recavano nei centri di immunizzazione, rispetto a quelli che sostenevano le attività dal back office, come il personale di supporto per la registrazione delle vaccinazioni e di preparazione delle fiale. Al contrario, i professionisti che normalmente lavoravano in situazioni di emergenza, come in pronto soccorso e terapia intensive, hanno riportato livelli di stress inferiori.
Secondo Brunelli e Arnoldo “questo potrebbe essere legato ad alcune abilità e competenze acquisite nel loro contesto e background professionale, o ad alcune strategie sviluppate personalmente o con il supporto degli psicologi che supervisionano le loro unità. Tuttavia potrebbero anche essere più abituati a queste situazioni, il che potrebbe aver portato a una certa sottostima“. Infine, le opinioni sulle misure di prevenzione e di sostegno ai lavoratori si differenziano a seconda del sesso dell’operatore, con le donne che sottolineano maggiormente la necessità di un addestramento all’autodifesa e di un miglioramento dei sistemi di sicurezza.
“È preoccupante – sottolineano Brunelli e Arnoldo – che un terzo degli operatori sanitari coinvolti nella campagna di vaccinazione che hanno risposto all’indagine ha riferito che il proprio benessere psicologico è stato influenzato dalla violenza perpetrata durante il servizio“.
Per i due coordinatori dell’indagine “si dovrebbe prestare maggiore attenzione ai professionisti della salute pubblica che si occupano di questioni molto trattate dai media come la vaccinazione, in particolare in epoca pandemica. Non di meno – sostengono Brunelli e Arnoldo – è necessario adottare un approccio più strutturato e multidisciplinare al problema della violenza sul luogo di lavoro, in particolare in ambito sanitario, che ne affronti tutti gli aspetti e includa il supporto legale e psicologico alle vittime, l’informazione, l’educazione e la formazione, un efficace sistema di segnalazione e il miglioramento della qualità complessiva del servizio“.
Il team della ricerca.
Allo studio, coordinato da Laura Brunelli e Luca Arnoldo, hanno partecipato: Enrico Scarpis, Francesca Fiorillo, Fabio Campanella, Paola Zuliani, Federico Farneti, Roberto Cocconi dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale; Eleonora Croci dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina; Barbara Pellizzari dell’Azienda sanitaria Friuli Occidentale, e Tancredi Lo Presti, medico specializzando in igiene e medicina preventiva dell’Università di Udine.