L’analisi della Uil sullo stato dell’industria in Fvg.
Il ricorso agli ammortizzatori sociali nei primi 9 mesi del 2022, rispetto allo stesso periodo del 2019 (quindi escludendo i due anni della pandemia) è lo specchio della salute del comparto industriale del Friuli Venezia Giulia: si è passati da 3 milioni 259mila ore di cassa integrazione ordinaria (Cigo) nel 2019 a 8 milioni e 288mila ore nei primi tre trimestri di quest’anno, ovvero più del 150% di aumento. Lo evidenziano il segretario regionale UIL del Friuli Venezia Giulia, Matteo Zorn e il segretario con delega all’Industria, Ezio Tesan, in un’analisi del settore industriale manifatturiero regionale.
Tutte le aree rilevano problemi dovuti alla speculazione sulle materie prime e i costi energetici, con un timore che, dopo la crisi del 2008 prima e la pandemia dopo, si sia davanti a una terza crisi in grado di minare concretamente gli investimenti, o provocarne la fuga a favore di competitor meno colpiti dalla crisi energetica. A questo si aggiunge una diffusa difficoltà di reclutamento di manodopera qualificata che richiede una più efficace programmazione della formazione e riqualificazione delle competenze esistenti.
In dettaglio, a soffrire di più sono le industrie chimica-energia-tessile-gomma plastica, che registra un complessivo calo degli ordinativi e un aumento dell’uso degli ammortizzatori sociali, ma anche una ‘latitanza’ delle istituzioni. In particolare a livello regionale la UIL rileva che, dopo una prima proposta, non si parla più di un rigassificatore nel Nord Adriatico, così come continuano a mancare i decreti attuativi della legge regionale sulle grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico approvata nel 2020: dovevano arrivare entro 180 giorni dall’approvazione. Forte sofferenza vi è poi nell’industria della carta, su cui i costi l’energia incide fino al 30%. E sebbene il settore sia in trasformazione puntando più sul mercato ‘packaging’, sta fortemente rallentando.
L’industria meccanica, invece, rileva la UIL del Friuli Venezia Giulia, è arrivata al suo limite di ‘competitività’ e oggi le fabbriche non possono ‘spingere’ più di quanto non sia già stato fatto. Si evidenziano infatti fermate produttive genericamente nell’area meccanica, ma anche nella siderurgia, fortemente energivora. Si segnalano fermate produttive lunghe per il periodo di fine anno di intere fabbriche, sottolinea Tesan, perché è più conveniente stare fermi che produrre in perdita; da qui il massivo utilizzo degli ammortizzatori sociali.
Chi teme una nuova ondata di chiusure, soprattutto per le piccole e medie attività, è il comparto del turismo, il più colpito dalla pandemia, che è riuscito a recuperare in parte le perdite del 2020-21, e ora sente molto il rincaro energetico. Il commercio vede sempre a rischio le piccole realtà, dove il costo della bolletta incide fino al 20% su lavoro e prodotti. Invece i rincari dovuti a pandemia e energia favoriscono la grande distribuzione, che segna extra profitti fino al +30%. Proprio su questi ultimi la UIL propone di costituire un fondo sociale di contrasto alla povertà.
Infine l’edilizia, vero motore della ripresa economica, grazie ai bonus e incentivi (110%) è riuscita a recuperare il 50% di quanto perso nel settore costruzioni nel biennio precedente, sebbene si registrino criticità che molte imprese hanno nella cessione del credito. Altro aspetto di tenuta del settore, concludono Zorn e Tesan, sono le risorse del Pnrr sull’edilizia pubblica, settore ferroviario e infrastrutture, che dovrebbero consentire di mantenere un trend positivo almeno per un triennio.