Lo studio sui consumi di Confcommercio.
E’ un effetto-Covid a diverse velocità quello che emerge dall’analisi dei consumi nelle regioni italiane per il 2020: se a livello nazionale la previsione è di un calo del 10,9% (pari a una perdita di 116 miliardi, 1.900 euro pro capite, il Nord risulta l’area più penalizzata (-11,7%), con quasi il 60% del calo complessivo concentrato nelle sue 8 regioni e con la Lombardia che registra la maggiore perdita in valore assoluto (oltre 22,6 miliardi di consumi), mentre nel Mezzogiorno la riduzione della spesa sul territorio è più contenuta (-8,5%) a causa della minor presenza di turisti stranieri e di una minore caduta dei redditi. Il Friuli Venezia Giulia conta un -12,2% di riduzione della spesa pari a 2,8 miliardi di consumi.
In ogni caso, il quadro complessivo appare sconfortante e in tutti i territori, per differenti ragioni, dovrebbero trascorrere almeno cinque anni per tornare ai livelli di spesa pro capite del 2019. Rimangono, pertanto, fondamentali riforme strutturali, da finanziare in parte con i fondi europei, per tornare a crescere a ritmi più coerenti con le legittime aspettative di famiglie e imprese. Questi i principali risultati che emergono dall’analisi sui consumi regionali nel 2020 dell’Ufficio Studi di Confcommercio.
Si conferma una forte eterogeneità nei tassi di variazione della spesa per consumi regionali nel 2020. Si passa, infatti, da una riduzione a prezzi costanti del 7,2% in Molise (la più contenuta) al -16,0% del Trentino Alto Adige (la caduta più profonda). In termini di perdita di valore il Nord, nel complesso, rimane l’area più penalizzata: dei 116 miliardi di consumi in meno stimati per l’anno in corso oltre 65 (quasi il 57%) derivano dalle otto regioni settentrionali (che nel 2019 pesavano per il 52% dei consumi sul territorio del totale Italia). La Lombardia sconta la riduzione più significativa, pari a oltre 22,6 miliardi di euro. In termini di consumi per abitante, la caduta della spesa sul territorio nel 2020 ammonterebbe a 1.900 euro a testa, riportandone il livello alla metà degli anni ’90, un’evidenza che conferma l’unicità dell’anno in corso nella storia economica italiana del dopoguerra.
Il Sud patirebbe una riduzione di spesa più moderata del resto del Paese (8,5% contro una media del 10,9%). Ciò non vuol dire che le condizioni delle regioni meridionali siano migliori. Lo shock puntuale, limitato al 2020, ha impattato meno nel Mezzogiorno per la minore presenza di turisti stranieri e per il maggior peso di lavoratori il cui reddito disponibile non è stato colpito dal lockdown, ma le capacità di reazione dell’area sono ben più ridotte. Infatti, a fronte di una riduzione cumulata dei consumi sul territorio in Italia dell’1,3% in 12 anni, dal 2008 al 2019 inclusi, il Mezzogiorno ha ceduto oltre dieci punti percentuali di spesa in termini reali, mentre il Nord è cresciuto di quasi tre punti. Considerando tali performance pregresse e riconoscendo che la pandemia non ha certo migliorato la resilienza del tessuto produttivo meridionale, si deve ipotizzare che il Sud soffrirà almeno quanto il resto del Paese in termini di tempi di recupero delle pure più esigue perdite patite nel 2020.
Queste valutazioni proiettano meccanicamente nel futuro performance passate assolutamente insoddisfacenti e rendono sempre più urgenti e necessarie riforme in grado di mutare la produttività del sistema Italia per evitare di riprendere, dopo la pandemia, il percorso di crescita esangue sperimentato nel passato.