Il primo giorno di settembre, festa di Sant’Egidio, era tradizione partecipare al rito religioso e poi, a sera, alla processione per le vie del centro storico del paese. Era occasione di grandi feste popolari e il momento che segnava l’inizio dei preparativi della vendemmia per la raccolta delle uve.
Una tradizione antica.
È questa una tradizione un po’ religiosa e un po’ pagana che si rinnova dal tempo dei tempi, se già gli antichi romani chiamavano non a caso questo mese Venemis. I vignaioli mettevano a punto le attrezzature e rinnovavano a parenti e amici l’invito a partecipare alla vendemmia, che iniziava con la raccolta dell’uva bianca di varietà Pinot, perché era consuetudine che l’uva nera fosse lasciata ancora qualche giorno in più sulla vite a fare l’amore con il sole fin che è innamorata al punto giusto.
La vendemmia era una gran festa nelle vigne per i partecipanti, anche se il ritmo del lavoro non lasciava molto spazio all’allegra comitiva in vena di canti. All’ora di pranzo, la compagnia si riuniva per la meritata pausa all’ombra di una ritemprante pianta per consumare il semplice, ma gustosissimo, menù casereccio: minestrone di fagioli o d’orzo profumati con l’osso del prosciutto crudo, pastasciutta preparata di buon mattino condita con ragù di carne e pomodoro, frittate con cipolla, verdura, salame, uova soda, formaggio fresco e stagionato, ossocollo, prosciutto crudo.
La cena in compagnia.
Non poteva mancare il vino versato dal fiasco rivestito di vimini il cui tappo era costituito dalla punta del torsolo delle pannocchie di mais. Al rientro dalla vendemmia e dal vigneto in serata, con le tinozze colme di succosi grappoli d’uva, ricca cena con i commensali riuniti attorno alla gran tavolata imbandita sull’aia o nel sottoportico della fattoria.
La tradizione contadina e dei vignaioli voleva che fosse seguito l’andamento del fare della luna nuova di settembre, che prediceva con certezza il tempo meteorologico per tutto l’inverno, da cui l’antico proverbio “luna settembrina sette lune indovina”.