Un tempo, quando l’impero austro-ungarico amministrava parte della regione, in occasione del matrimonio, era tradizione che la futura sposa si recasse a casa dei parenti e dei vicini portando in dono i confetti e una ciambella ricoperta di zucchero.
Il giorno del matrimonio.
Nel giorno delle nozze, gli invitati raggiungevano la casa della futura sposa per “rapirla“, dichiarando di essere alla ricerca di una colomba smarrita. Ad un certo punto, entrava in scena un personaggio, chiamato mataron, che si presentava come il custode della sposa; faceva sfilare davanti agli invitati tutte le donne della famiglia e del vicinato, fino a che si presentava la novella sposa vestita di tutto punto con l’abito delle nozze.
Il padre della sposa offriva dolci agli invitati, mentre al futuro genero porgeva da bere dalla brocca, chiamata maiolsiza, ricevendo in cambio un tallero di Maria Teresa.
Se lo sposo non era dello stesso paese della donna, davanti alla chiesa, dopo la celebrazione del matrimonio, i giovani compaesani della sposa si presentavano per riscuotere una sorta di pagamento come simbolico indennizzo per il trasferimento e la perdita di una ragazza del luogo.
La canzone dedicata alla sposa.
Intascato l’obolo che di solito veniva pagato dal testimone dello sposo, il gruppo dei paesani intonava una canzone: “Veso robat una fantata, la plui biela dal mio borc? Puartet svelti la maiolsiza, cul bon vin e il pan di sotc“, ovvero: “Avete portato via una ragazza, la più bella del mio paese? Portate subito la brocca, colma di buon vino e di pane di granoturco” e tutti partivano verso l’osteria per festeggiare.