Il pittore e scultore Giorgio Celiberti
Una vita per l’arte, ma con il cuore sempre a Udine. La sua Udine, dove 94 anni fa è nato (era il 19 novembre 1929) e dove, da giovanissimo, ha scoperto il suo talento. “Sarà stata una Pasqua del 1944 o ’45. Avevo comperato una serie di colori ad olio e avevo incominciato subito a fare dei paesaggi. Il primo lo avevo fatto su un piccolo compensato, ma quando avevo visto un disegno del mio amico scrittore Alcide Paolini, lo avevo gettato via. Il suo era molto più bello”, ricorda il maestro Giorgio Celiberti, il più grande artista friulano vivente.
La formazione a Venezia accanto al pittore Emilio Vedova, noto come il fratello italiano di Pollock. Il battesimo della Biennale ad appena 19 anni, nel 1948. “Mio zio, il pittore Angilotto Modotto, uno degli uomini migliori che abbia incontrato nella mia vita, di grande intelligenza e cultura, viveva in quegli anni in Argentina. Un amico gli aveva detto: guarda che tuo nipote sta esponendo a Venezia. Lui aveva risposto che era impossibile, che ero troppo giovane. Quando ne aveva avuto conferma, aveva preso un aereo per venire a trovarmi a Udine e complimentarsi con me”.
Udine al centro della produzione artistica di Celiberti. La città che sta tributando al maestro, in questi giorni, un’importante mostra, con i famosi cavalli di bronzo da lui realizzati, posizionati in via Mercatovecchio. “L’ho sempre vista come il mio rifugio poetico – ricorda il pittore e scultore friulano -. Una città molto serena. Qui avevo i miei nonni, gli zii, che ho tanto amato, e i miei amici”.
Quando ha capito che la sua vita sarebbe stata dedicata all’arte?
“Non ho dovuto capire niente. È stato un moto spontaneo. Ho cominciato e ho visto che quello che facevo interessava a critici e collezionisti. A dire il vero, quando da ragazzo frequentavo l’istituto tecnico Zanon a Udine, lì c’è stato un qualche cosa, che ha influito abbastanza sul momento artistico e sulla mia vita in generale. Il mio professore di matematica Bencini e il direttore della scuola Roccella, avevano mandato a chiamare i miei genitori e gli avevano detto che non ero tanto adatto per quella scuola, perché era tutto il giorno che disegnavo, facevo ritratti, stavo sempre con la matita in mano. Secondo loro, sarebbe stato un peccato che lasciassi perdere il mondo dell’arte, visto che dai primi risultati sembravo un giovanotto di talento. Così abbiamo iniziato a fare questi discorsi in casa, fino a quando i miei genitori hanno deciso di mandarmi al liceo artistico a Venezia”.
Dove ha conosciuto il suo maestro, Emilio Vedova…
“Sono stato nel suo studio dal 1946 al 1951, fino a quando sono andato al 51esimo Stormo caccia a fare il mio servizio militare. Tutti parlano male del militare, ma io ne ho un ricordo bellissimo. I miei superiori mi volevano tanto bene e mi agevolavano in tante cose”.
Ha vissuto per diversi anni a Roma, Londra, Bruxelles, New York, per poi tornare a Udine…
“Ero un giramondo. Mio padre diceva che avevo sempre la valigia dietro la porta. Ho viaggiato molto e ho fatto anche un lungo periodo a Roma, che ricordo con grande piacere. Ho una grande facilità ad ambientarmi. Sono tornato a Udine quando mio figlio è andato a scuola, in prima elementare, ed è stato l’abbrivio di questa lunga stagione qua”.
Crede che Udine l’abbia aiutata nella sua arte?
“Certamente, l’arte passa di minuto in minuto e Udine mi ha aiutato non poco. Credo che le cose nascano così, con semplicità. Anche adesso non so come nascono le mie giornate. Attacco, vedo, metto, aggiungo, cancello e saltano fuori tutte queste cose, le mie opere. Vengo alle 10 di mattino in studio e faccio orario continuato fino alle 6 di sera. Mangio un boccone qua. Tornato a Udine, dopo gli anni all’estero, ho ritrovano questa poetica città e qui continuo ad abitare senza rimpianti”.
Che cos’è per lei l’arte dopo questa lunga carriera?
“L’arte è qualcosa che viene dal di dentro. Dico sempre: dall’anima. È molto spontanea e a me ha aiutato tanto”.
Ci sono delle opere a cui è più legato?
“Quelle del periodo di Terezín, la città della Repubblica Ceca, vicino alla quale si trovava il campo di concentramento, nel quale morirono 15mila bambini ebrei. Ero andato là, nel 1965, perché mi avevano regalato un piccolo libretto con delle poesie scritte dai bambini. La visita mi ha lasciato scioccato e incredulo e per un lunghissimo periodo ho dedicato a questa tragedia delle grandissime tele. Ricordo ancora che prima di rientrare a casa dallo studio la sera telefonavo alla Ina, mia moglie, per sapere se mio figlio era andato a letto. Ero sconvolto lavorando a quelle tele e non volevo mi vedesse in quello stato”.
Adesso Udine le ha tributato questa grande mostra in centro…
“Udine è sempre stata molto generosa con me e hanno scelto di esporre anche alcuni dei miei cavalli di bronzo in via Mercatovecchio. ll cavallo per me è un importante amico dell’uomo, molto bello ed elegante. Ma amo tutti gli animali, in linea di massima. Quello che vedo più vicino a me è il gatto. Amo molto questo animale e l’ho spesso rappresentato nelle mie opere. L’ultimo che avevo, purtroppo, me lo hanno avvelenato”.