Carlo Sgorlon e la narrativa: storia di uno scrittore del Fvg

Chi era Carlo Sgorlon

Carlo Sgorlon è stato uno scrittore e insegnate di Italiano, nato a Cassacco nel 1930 e morto a Udine nel 2009. Vincitore di oltre quaranta premi letterari tra cui lo Strega, l’Hemingway, il Napoli, le Palme d’oro e tanti altri, è stato ricordato pochi giorni fa a Udine, al momento della presentazione della statua dedicatagli in piazza Marconi. L’opera in bronzo, realizzata dall’artista Calogero Condello, è stata promossa dall’amministrazione comunale per ricordare la storia di uno scrittore locale che ha dato alla luce grandi lavori.

Lo stile

Sgorlon si distinse per il forte legame con la terra d’origine. Dai suoi romanzi emerge una predilezione nei confronti di alcune tematiche legate al Fvg quali la vita contadina con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, il dramma dei due conflitti mondiali e delle foibe e le storie degli emigrati. In più occasioni il valore delle sue narrazioni è stato pienamente riconosciuto e onorificato: tra i tanti premi letterari vinti, Sgorlon ne avrebbe dovuto ricevere un altro nel 2009 ma a causa della scomparsa nella notte di Natale dello stesso anno non fu in grado. Tuttavia, il patrimonio letterario lasciato dalle sue opere resta ancora in vita e degno di essere ricordato. Sgorlon fu abile nel distinguersi dal resto degli autori italiani in quanto narratore vero di storie reali in un mondo fantastico. Vicende condite da elementi storici e magici che coesistono nell’ecosistema narrativo come differenti livelli di una stessa provincia. A tal proposito si rivelarono decisivi gli stimoli del nonno, maestro elementare in pensione che gli aprì le porte della tradizione friulana raccontandogli fiabe e racconti tradizionali che circolavano tra la gente del suo piccolo paese contadino. Sgorlon fu dunque poeta dell’equilibrio e dell’intreccio, narratore di storie fantastiche caratterizzate da una struttura realistica di fondo.

Le scritture

A nascere per primo è il romanzo “Il vento nel vigneto” (1960) che 11 anni dopo viene riscritto in lingua friulana con il titolo “Prime di sere”. Nella sua opera d’esordio si notano fin da subito i tratti riportati di sopra e dunque un forte legame con la tradizione. Come elementi centrali figurano infatti i temi esistenziali di una terra, quella friulana, ispirata al mondo contadino e alla storia di un ergastolano che si reinserisce in maniera faticosa nel suo paese natio, tra mille sospetti e mille giudizi. Carlo Sgorlon in seguito cambia lievemente il proprio registro narrativo e si dedica a opere quali “La poltrona” (1968), “La notte del ragno mannaro” (1970) e “La luna color ametista” (1972), tre opere in cui emerge il ritmo nevrotico dei personaggi narrati, incapaci di realizzarsi nella vita. Con il progredire degli anni lo scrittore del Fvg si apre man mano a storie sempre più corali fatte da mondi chiusi in cui si percepisce un sentimento di disadattamento continuo. Ne “La luna color ametista”, romanzo riconosciuto come “spartiacque” della traiettoria narrativa di Sgorlon, si assiste a un vero e proprio passaggio dallo stile solipsista delle prime uscite a quello fantastico-corale delle ultime. Nel seno di questo cambiamento nasce “Il trono di legno”, un vero e proprio successo che gli vale il Premio Campiello nel 1973 e che riporta la storia di un narratore di vicende fantastiche inconsapevole di essere l’erede diretto di una coltura solo assopita e non cancellata. L’autore di Cassacco trascorre la sua vita tra scrittura, campagna e insegnamento di Italiano e Storia negli Istituti tecnici. In questo periodo nasce “La contrada”(1981), libro in cui si racconta la vita di periferia di un gruppo di amici sviluppando la tematica relativa alla disillusione dell’uomo moderno. Due anni dopo, nel 1983, arriva “L’armata dei fiumi perduti”, uno dei suoi capolavori che gli vale il “Premio Strega” nel 1985. Anche qui si assiste alla coralità che marca in maniera evidente il suo stile di scrittura. Viene narrata infatti la storia della tragedia dei Kazak, popolo cosacco a cui “l’impassibile spietatezza della Storia aveva sottratto per sempre la possibilità di avere una patria”. Dopo aver scritto moltissime opere, nel dicembre del 2008 arriva la pubblicazione de “La penna d’oro”, un’autobiografia in cui Sgorlon si fa portavoce della sua vita e della sua poetica, raccontandosi con sincerità e con un pizzico di polemica costruttiva.