Il rinvenimento da parte dei carabinieri a Grado.
Sette resti di anfore biansate vinarie greco-italiche databili al III secolo d.C. e altri 14 reperti ceramici romano-aquileiesi di epoca imperiale e altomedievali di produzione bizantina. E ancora: 5 elementi ceramici di anfore vinarie a testimonianza dei commerci che si svolgevano da una sponda all’altra dell’Adriatico tra i popoli che lo abitavano in epoca pre-romana, emersi dal sito noto come Grado 2, dalla denominazione convenzionalmente assegnata all’imbarcazione naufragata nel III secolo a.C.
I reperti recuperati dai carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Udine nello specchio d’acqua compreso tra Grado e Punta Sdobba, confermano l’assoluta rilevanza del sito che è protetto da una rete metallica per prevenire possibili danneggiamenti e sottrazioni illecite del prezioso carico. Ma la vera sorpresa i militari l’hanno avuta nel rinvenimento dei resti di un’imbarcazione della Prima Guerra Mondiale adagiata nel fondale posto in corrispondenza della confluenza del canale Isonzato nel fiume Isonzo, in località Punta Sdobba di Fossalon di Grado, in un’area di assoluta rilevanza paesaggistica essendo situata di fronte alla riserva naturale dell’Isola della Cona.
Si tratta di un pontone della Regia Marina, un grosso e robusto galleggiante usato durante la Grande Guerra per azioni di appoggio e di fiancheggiamento sul basso Isonzo e sul basso Piave, realizzato nei primi del Novecento presso l’Arsenale di Venezia. Questo tipo d’imbarcazione veniva anche utilizzato per il trasporto fluviale/lagunare di uomini e materiali, nonché per garantire il rifornimento di munizioni alle batterie di medio-grosso calibro che da Punta Sdobba cannoneggiavano le postazioni nemiche sul Monte Hermada, principale baluardo della vicina linea difensiva austro-ungarica. Il pontone rinvenuto era stato autoaffondato per ostacolare l’eventuale transito di imbarcazioni militari austro-ungariche a seguito della rotta di Caporetto dell’ottobre-novembre 1917.
Di norma risultava armato di cannoni di piccolo e medio calibro ma, nel caso specifico, l’assenza di sagomature è riprova del fatto che prima dell’affondamento l’armamento di bordo è stato asportato per evitare che cadesse in mani nemiche. I manufatti archeologici recuperati sono stati affidati alla Soprintendenza archeologia, Belle arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia per la conseguente attività di desalinizzazione, pulizia, catalogazione e restauro. I relitti saranno sottoposti a ulteriori attività di studio e messa in sicurezza.