I sindaci del Friuli sul referendum per il taglio dei parlamentari.
Ci siamo. Tra domenica e lunedì, anche in Fvg si andrà alle urne per votare in merito alla riduzione del numero dei parlamentari. In caso di vittoria del “sì”, il numero dei deputati passerebbe da 630 a 400, mentre quello dei senatori da 315 a 200. In totale, 600 rappresentanti anziché i 945 attuali. Non è previsto il quorum: la consultazione sarà valida con qualsiasi numero di votanti.
E in Friuli Venezia Giulia, qual è la tendenza di voto? Ci siamo rivolti ai sindaci per un’indagine a campione. E dai pareri espressi tra i primi cittadini interpellati, il “no” sembra prevalere. In controtendenza rispetto a molti colleghi c’è Pietro Fontanini, sindaco di Udine. “Voterò sì – dice – per iniziare una fase di riforme, partendo dalla riduzione del numero degli eletti in Parlamento. I quasi 1.000 parlamentari italiani sono, infatti, decisamente troppi. Inoltre – aggiunge – voterò sì anche per chiedere che i membri del Parlamento debbano avere un forte legame con il territorio che li ha votati. Saranno facilmente individuabili e dovranno gioco forza farsi carico dei territori che li hanno mandati a Roma”. Medesima intenzione di voto per il primo cittadino di Rigolato, Fabio D’Andrea: “Opterò per il sì – precisa – perché ritengo sia corretto ridurre le presenze in Parlamento. Inoltre, ci sono i listini bloccati, che non consentono di scegliere chi mandare a Roma. Io non mi sento rappresentato e, negli ultimi anni, il Fvg ha ottenuto ben poco”.
Molti sindaci, nei vari territori della regione, sono pronti a dare la preferenza al “no”. E si scopre che molti di loro sono del Pd. È così per Francesco Brollo, primo cittadino di Tolmezzo: “La mia scelta è legata a due motivazioni – esplicita -: la prima è di carattere utilitaristico territoriale, perché ci sarebbe un’oggettiva riduzione dei nostri rappresentanti. E poi, perché votando sì non credo si risolvano i problemi che affliggono l’Italia, ci sono ben altri temi sul piatto”. Una posizione, quella della scarsa rappresentatività del territorio, sposata anche da Ivan Buzzi, primo cittadino di Pontebba, “con un numero minore di parlamentari il Fvg rischierebbe di incidere ancor meno – aggiunge -. Se c’è qualcosa da rivedere, sono gli stipendi di chi siede in quelle aule, oltre al costo complessivo del Palazzo”.
Un “no” convinto arriva anche da Roberto Revelant, sindaco di Gemona: “Non conta la quantità, ma la qualità dei parlamentari e, inoltre, il Paese ha bisogno di riforme di natura economica. I partiti dovrebbero impegnarsi a eleggere persone competenti. Senza dimenticare che i risparmi per le casse dello Stato sarebbero irrisori: all’Italia non servono atti simbolici, ma concreti”. Francesco Martines, primo cittadino di Palmanova, basa il suo “no” su quattro motivi. “Ritengo importante fare una riforma costituzionale complessiva e non dare singoli “colpi di accetta” che hanno scarso significato – esordisce -. Poi, se vogliamo guardare ai costi, bisognerebbe che i parlamentari si dimezzassero lo stipendio, dimostrando di fare politica per impegno civile e non per soldi. Il terzo aspetto è che il Fvg perderebbe rappresentatività. Infine, piuttosto che su questi temi, dovremmo preoccuparci di spendere bene i soldi che ci ha assegnato l’Ue: è un’occasione da non gettare al vento. Questo referendum è figlio soltanto del populismo e dell’antipolitica”.
Una posizione convinta è anche quella di Pietro Valent, sindaco di San Daniele. “Voto e faccio votare “no” – è lapidario – perché non è tagliando i parlamentari che si dà un servizio migliore alla collettività. La democrazia non si difende così, ma inviando in Parlamento persone competenti, scelte dal popolo e non dalle segreterie dei partiti”. Diretto il “niet” anche da parte di Enrico Mossenta, sindaco di Pradamano: “Non condivido che si facciano le riforme a pezzettini. A tavola – usa una metafora – ordinerò vino bianco se mangerò pesce e rosso in caso di un piatto di carne: ma con questo referendum ci fanno bere del bianco senza sapere che cosa mangeremo poi”. Ne fa anche una questione di costi: “Il risparmio sarebbe di 50 milioni – conclude Mossenta – e faccio un esempio: per mettere a norma sotto il profilo sismico le scuole di Pradamano ci vogliono 7 milioni. In Italia ci sono 8.000 comuni. I conti sono subito fatti. Sarebbe meglio una riforma con una camera con potere decisionale affiancata da una seconda delegata alla consultazione. Così finirebbe l’effetto ping-pong da un’aula all’altra del Parlamento”.