Stop allo sci, la rabbia della montagna del Friuli.
Rabbia e sconcerto. Senza tralasciare la delusione. Sono i sentimenti che si respirano in montagna in Friuli dopo l’ulteriore slittamento della stagione sciistica. La nuova ordinanza firmata dal ministro alla Salute, Roberto Speranza, fissa al 5 marzo la nuova data per l’apertura di piste e impianti. Una dead line che, per più di qualcuno, vuol dire sipario anticipato su un inverno mai nato. In Fvg la stagione sarebbe dovuta partire il 19 febbraio.
Il governatore del Fvg, Massimiliano Fedriga, non nasconde il suo malumore. E auspica un’inversione di rotta. “Chiediamo al nuovo Governo di cambiare sistema perché evidentemente questo è un risultato fallimentare vista la decisione dell’ultimo momento che riguarda gli impianti da sci”, commenta il presidente. “Già la settimana scorsa – prosegue Fedriga – si conosceva la situazione pandemica e bisognava avvisare quindi con il dovuto anticipo operatori e lavoratori del settore della montagna e non far pagare un’ulteriore perdita per quanto riguarda l’organizzazione delle riaperture. Un danno che si somma alla perdita che c’è già stata e che ci sarà”. Fedriga indica come “necessaria” una ristrutturazione dell’organizzazione del Comitato tecnico scientifico, “perché – rincara – non ci possiamo trovare ancora in questa situazione: in mezzo a questa indecisione a rimetterci sono le imprese e i lavoratori”.
“Non aprire ora vuol dire non aprire più, è inutile girarci attorno. Hanno messo in ginocchio un settore, quello della montagna, che produce un Pil importante”. Va dritto al sodo Stefano Mazzolini, ristoratore di Tarvisio ed ex presidente di Promotur, oltre che attuale vicepresidente del Consiglio regionale. “Il via libera a impianti e piste dal 5 marzo non ha senso – prosegue – perché ormai la stagione è già al tramonto e qualcuno, poco dopo, più che a sciare va a farsi già un giro al mare. Con questi continui rinvii hanno rovinato un intero comparto e c’è chi non riaprirà più”. La rabbia di Mazzolini è anche quella di un’intera categoria: “Ristoranti e alberghi non chiedevano ristori, ma soltanto di lavorare in sicurezza, come avvenuto in Austria e Svizzera dove le piste sono rimaste aperte. I contagi – conclude – sono stati uguali ovunque, con piste aperte o chiuse. Un contributo di 1.000 euro per un albergo è una goccia nell’oceano, non risolve nulla”.
“Siamo arrabbiatissimi, non ci si comporta così. Avvertire il giorno prima all’ipotetica apertura è una mancanza di rispetto a noi lavoratori e alla nostra dignità”. È furibonda Paola Schneider, presidente di Federalberghi Fvg e titolare di un hotel a Sauris. In Fvg lo sci sarebbe dovuto ripartire il 19 febbraio, ma poco cambia rispetto a quanto accade su scala nazionale: “Riaprire una struttura ricettiva richiede giorni di preparazione – fa notare -. Senza contare che, per acquistare tutto, si sono spesi dei soldi. Debiti su debiti: la sensazione è che si voglia far morire la maggior parte degli alberghi”. La presidente critica anche chi addita lo sci alpino come veicolo di assembramento “e fa rabbia – aggiunge – che tutte le richieste siano state esaudite nel disciplinare, dalla vendita online degli skipass alla riduzione di capienza delle cabinovie al 50%. Avrebbero fatto meglio – chiude Schneider – a dichiarare chiusa la stagione. Dal 5 marzo in poi arrivano, se va bene, soltanto le briciole”.