I risultati raggiungi dall’equipe di Neurologia dell’ospedale di Udine.
Quasi i due terzi dei pazienti ricoverati in marzo per Covid-19 nell’unità non intensiva Covid dell’Ospedale di Udine riferivano di aver perso olfatto e gusto. Nel 20% dei casi, per giunta, il deficit olfattivo e gustativo era stato il sintomo di esordio della malattia, prima ancora che si manifestassero altri segni, come congestione nasale o difficoltà di respirazione.
Sono i risultati di uno studio della Clinica Neurologica dell’Ospedale di Udine, pubblicato sulla rivista Neurology Clinical Practice e annunciati con enfasi dalla American Academy of Neurology, la maggiore associazione di neurologi e neuroscienziati del mondo, forte di oltre 36,000 membri.
Nell’indagine, condotta dall’équipe diretta dal professor Gigli durante la prima ondata della pandemia, viene dimostrata l’importanza del monitoraggio dell’olfatto e del gusto per l’individuazione dei pazienti con infezione da Covid-19 al suo esordio.
Secondo i dati dello studio udinese, del quale è primo autore Francesco Bax, specializzando della Scuola di clinica neurologica, quasi i due terzi dei pazienti positivi al Covid avevano perso entrambi i sensi. Improbabile dunque, secondo Bax, che possa essere l’ostruzione delle prime vie aeree a causare questi sintomi.
Sulla base dei risultati dello studio, il medico, intervistato dall’American Academy of Neurology, invita i clinici a “considerare la perdita di olfatto e di gusto come un indicatore precoce di infezione, da monitorare attentamente mantenendo il paziente isolato in quarantena fino a definitiva diagnosi”.
Lo studio ha riguardato 93 pazienti, con età media di 63 anni, ricoverati in reparti non intensivi del Santa Maria di Udine nel marzo 2020. I partecipanti, intervistati dall’équipe della Clinica neurologica circa i loro sintomi, erano positivi per il virus al tampone o presentavano i segni caratteristici dell’infezione alla TC polmonare. Il 63 % di essi riferiva perdita di olfatto e di gusto e per il 20 % di essi i disturbi olfattivi e gustativi avevano preceduto la restante sintomatologia, perdurando in media per circa 30 giorni. Questi pazienti erano anche quelli con valori più bassi di leucociti neutrofili, tanto che l’American Academy of Neurology si chiede se anche le modificazioni dell’emocromo non debbano essere considerata segni precoci di infezione.
Riferendosi ai problemi neurologici causati dalla pandemia, nell’intervista Bax sottolinea ancor più significativamente che “la maggior parte dei pazienti giunge all’attenzione medica per problematiche respiratorie, ma l’elevata prevalenza di sintomi olfattivi ci suggerisce che c’è molto di più in gioco di quanto i polmoni non possano dirci”.
I risultati sono stati possibili grazie all’impegno clinico profuso dalla scuola di specializzazione di Neurologia ed alla stretta collaborazione con la scuola di specializzazione di Malattie Infettive diretta dal professor Tascini. In particolare hanno fatto parte del gruppo che ha condotto lo studio il Alessandro Marini, Andrea Surcinelli e Gaia Pellitteri, specializzandi di Neurologia, mentre per le Malattie Infettive Chiara de Carlo e Valentina Gerussi. L’impegno nella lotta contro la pandemia prosegue ad oggi coinvolgendo tutti i Neurologi del Santa Maria, con la trasformazione della Clinica neurologica in reparto “Neurocovid” in occasione dell’attuale seconda ondata.