Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Recentemente è scoppiato un altro polverone, l’ennesimo, su Virginia Raggi, ex sindaca di Roma ed attuale presidente della commissione della candidatura italiana a Expo 2030. Questa volta a far scaturire la polemica sono stati dei messaggi, inoltrati dalla Raggi su chat di gruppo, contenenti temi di propaganda russa e prendono posizione contro “l’ingerenza di USA e UE” nelle vicende politiche dell’Ucraina.
Forse, però, questa volta si tratta di uno scandalo di troppo. Per Carlo Calenda, leader di Azione, i messaggi dai toni filorussi sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso: non solo chiede le dimissioni dell’ex sindaca dal suo ruolo di presidente della commissione Expo 2030 ma prepara anche una mozione di sfiducia per propiziarne l’uscita. Dopo meno di due mesi, si rompe dunque il fragile equilibrio tra forze politiche che avevano accettato di appoggiare la Raggi come atto di unità politica a sostegno della candidatura di Roma.
Anche il sindaco Roberto Gualtieri (PD) però pare ormai essere in rotta di collisione con Virginia Raggi. La causa, stavolta, è un buco di circa 1.5 milioni di euro nel bilancio della città di Roma lasciato dall’ultima amministrazione, presieduta proprio dalla Raggi. Secondo quanto riportato su Repubblica, l’amministrazione di Gualtieri sembra essere in procinto di denunciare la precedente giunta presso la Corte dei Conti. L’eredità lasciata dai cinque anni della Raggi al Campidoglio, ed il susseguirsi di controversie legate alle sue posizioni sui vaccini e la Russia, non fanno altro che alimentare dunque lo scetticismo generale di coloro che non le avrebbero mai affidato un compito importante quale quello di presidiare la commissione Expo.
Tuttavia, il quadro caotico che si delinea sulla candidatura di Roma non giova di sicuro all’Italia. Proprio nel momento in cui occorre produrre massima unità nazionale per portare a casa la partita, prevalgono divisioni politiche ed intrighi di palazzo dalle conseguenze potenzialmente deleterie. Qualora infatti un’eventuale mozione di sfiducia non riuscisse a deporre la Raggi, la candidatura italiana si troverebbe arenata nelle sabbie mobili di uno scontro politico protratto tra chi dovrebbe presidiare il progetto Expo e, dall’altro lato, diversi membri della commissione ed il sindaco della città ospitante. Senza una risoluzione definitiva in vista, le solite ineluttabili e provinciali divisioni politiche rischiano di compromettere la candidatura di Roma.
D’altro canto, inoltre, ci sono le dirette concorrenti, che proseguono con determinazione il loro cammino per farsi conferire l’Expo. L’attuale favorita nella corsa, l’Arabia Saudita, ha ripreso per la candidatura di Riyadh i principali temi della Saudi Vision 2030, la strategia nazionale che pone l’accento sulla transizione ecologica, infrastrutture all’avanguardia, ed investimento sui giovani, con gli under 30 che rappresentano i due terzi della popolazione della capitale saudita. Oltre al progetto in sé, quella di Riyadh è una candidatura che avanza sulla scia al successo riscosso all’Expo di quest’anno a Dubai. Il padiglione dell’Arabia Saudita, infatti, ha sfiorato la soglia delle 5 milioni di visite e si è aggiudicato diversi premi, tra cui quello di miglior padiglione della manifestazione e tre primati della Guinness. Durante l’evento di chiusura del padiglione saudita a Dubai, dove l’Arabia Saudita ha lanciato la propria candidatura per il 2030, il presidente della Royal Commission for Riyadh City Fahd Al-Rasheed ha tenuto un discorso avvolgente che ha ribadito la volontà dell’Arabia Saudita di andare fino in fondo per aggiudicarsi l’Expo. L’insieme di tutti questi elementi ha già convinto diverse nazioni ad appoggiare il progetto di Riyadh, inclusi diversi paesi africani e l’Organizzazione della cooperazione islamica.
L’altra avversaria per Expo 2030, la Corea del Sud, ha già dato prova di unità nazionale nei suoi sforzi di portare la manifestazione a Busan. Difatti, in seguito alle elezioni presidenziali, il candidato vincente, Yoon Seok-youl (appartenente al principale partito di opposizione), ha espressamente creato un comitato speciale di transizione con l’intento di rafforzare la collaborazione con l’attuale amministrazione per proseguire le iniziative legate alla candidatura sud-coreana.
Tolte dal tavolo le proposte di Ucraina e Russia che, salvo sorprese, dovrebbero essere escluse d’ufficio, la corsa a tre con Arabia Saudita e Corea del Sud vede dunque l’Italia attualmente in una situazione di svantaggio. Al cospetto di una candidatura Expo che stenta a imporsi contro le rivali, le divisioni politiche emerse nelle ultime settimane rischiano di tramutarsi in indifferenza e disinteresse nazionale verso il progetto di Roma. Un chiaro segnale in tal senso è già stato lanciato implicitamente dall’assenza di interventi a sostegno della candidatura italiana dai leader dei partiti politici. Oltre al viaggio effettuato dalla ministra Carfagna a Dubai ed il breve intervento (tenuto per videochiamata tra l’altro) dal ministro Di Maio ai margini della chiusura dell’Expo, sono ben poche le figure istituzionali di rilievo nazionale che hanno appoggiato pubblicamente il progetto di Roma.
Circondata da un alone di apatia e divisione, dunque, la candidatura dell’Italia a Expo sembra di fatto ricadere nelle mani del sindaco Gualtieri, che si ritrova a dover far fronte alle innumerevoli difficoltà che Roma dovrà risolvere per aggiudicarsi l’edizione del 2030. Tra i problemi all’ordine del giorno ci sono le buche che ormai da anni rendono le strade impraticabili, i ritardi nell’allargare l’accesso alla fibra ottica (che attualmente si estende solo a circa il 72% dei residenti), ed un notevole peggioramento delle condizioni socio-economiche dei cittadini capitolini. Un sindaco, però, non può fare tutto da solo. Se l’Italia vuole veramente portare l’edizione 2030 di Expo a Roma, occorre ritrovare un’unità di intenti che nelle ultime settimane è venuta a mancare. Occorre soprattutto agire in fretta, perché di tempo ne rimane poco e le avversarie non mostrano alcuna intenzione di fermarsi.