Gli effetti del coronavirus sulle osterie.
Un tempo erano i veri punti di riferimento di un comune, anche più del municipio. Qui si riunivano le persone che contano per pianificare le scelte, magari davanti a un frico e polenta. E tra un bicchiere di vino e una partita a carte, tra quelle mura si poteva ammirare uno spaccato verace delle società. Le osterie, insomma, sono sempre state una parte integrante del Friuli. Durante il terremoto, medici e ambulanze facevano capo a questi locali, perché c’era il telefono. Sindaci, medici e notabili le frequentano da sempre.
Oggi, con la quarantena da coronavirus e l’obbligo di stare a casa, anche le loro serrande si sono abbassate. E il timore è che qualcuna possa anche non alzarsi più. “Mai come in questo momento si sente la mancanza di convivialità. Perché qui non si mangia e beve e basta: si parla di politica, sport, amore, di vita. Così è da sempre”. Parole di Enzo Mancini, presidente del Comitato Friulano Difesa Osterie, che raggruppa 12 locali e conta su 140 associati. Il sodalizio, nato nel febbraio 1984 all’allora Vitello Bianco di Udine, guarda con fiducia al futuro, ma le preoccupazioni, com’è ovvio, ci sono.
“Il problema della chiusura – afferma Mancini – per noi è ancora maggiore rispetto ad altri. I negozi di alimentari, per esempio, sono più fortunati. Chi ci assicura che dopo la riapertura la gente tornerà a frequentare i nostri locali? È chiaro che le attività commerciali avranno un vuoto. E anche dopo l’inizio del ritorno alla vita normale prevedo un periodo difficile non soltanto per le osterie, ma anche per ristorazione e alberghi. Il Governo non può usare con tutti lo stesso metro”. Per il presidente occorrono aiuti mirati “per supportare chi, dopo la tempesta, potrà riaprire. Sarà tutt’altro che facile”.
Insomma, inutile girarci intorno: qualche osteria potrebbe chiudere i battenti. “Il pericolo c’è – allarga le braccia Mancini -, ma non dipende dalla collocazione. Non è detto che chi sta nei piccoli centri sia più a rischio di chi opera in città. Chi ha aperto perché i soldi sono correnti e pensa ad un ipotetico facile guadagno sarà il primo a chiudere. Invece, coloro che hanno intrapreso questo lavoro con serietà e volontà saranno in grado di ripartire”. I presupposti per risollevarsi, insomma, ci sono tutti: molti osti non vedono l’ora di rimettersi dietro al bancone. “E confidiamo anche – sottolinea il presidente del Comitato Friulano Difesa Osterie – nell’aiuto dei nostri clienti affezionati, al piacere di stare assieme. I nostri frequentatori assidui non hanno bisogno di appelli”.
Tra i titolari dei locali l’energia per ricominciare c’è tutta. Questo non significa che la guardia, vista l’emergenza sanitaria, non sia alta: “Dal confronto con i colleghi – conclude Mancini – emerge voglia di uscire dal guscio, ma anche molto spavento dovuto a questo nemico invisibile chiamato coronavirus. Le nostre osterie sono una realtà che vogliamo conservare e tramandare. La voglia di reagire e riprenderci è tanta. Siamo friulani, ci piace lavorare”.