Il procedimento per la morte di Donato Maggi.
Donato Maggi era morto pochi minuti dopo l’inizio del suo turno di lavoro. L’uomo, originario della Puglia, era arrivato in Friuli in cerca di un’occupazione. Ma al suo primo giorno aveva subìto un infortunio fatale.
La vicenda aveva destato sgomento in Friuli e a breve comincerà il processo per individuare le responsabilità di questo decesso a soli 37 anni. Ma la famiglia della vittima arriverà in udienza con l’amaro in bocca. “Nessuna assunzione di responsabilità da parte dell’azienda per il dipendente deceduto il primo giorno di lavoro, anzi, nonostante la richiesta di rinvio a giudizio per i suoi vertici e per l’azienda stessa per le gravi violazioni riscontrate nell’inchiesta sull’ennesima morte bianca – così esordisce lo Studio3A, che assiste la famiglia Maggi -. Nessuna offerta risarcitoria in favore dei familiari della vittima da parte della compagnia di assicurazioni della ditta. A fronte della totale chiusura della controparte, ai congiunti della vittima, assistiti da Studio3A, non resterà che costituirsi parte civile all’udienza preliminare del processo.
Maggi, che era originario di Carosino (Taranto), e che, dopo essersi sposato, da soli cinque mesi, si era stabilito a Ragogna, era stato assunto con contratto a tempo determinato (dal 7 agosto al primo settembre) con la qualifica di operaio e per la mansione di manutenzione impiantistica. Dunque, era al suo primo giorno lavorativo per la nuova impresa. “Come però è emerso – aggiunge lo Studio 3A – dalle indagini condotte dagli esperti della Struttura complessa di “Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro” dell’Asl 5 Friuli Occidentale, il lavoratore non aveva alcun attestato di formazione specifica in materia di sicurezza sul lavoro e non vi erano evidenze circa l’avvio ai relativi corsi: nel suo contratto di assunzione l’allegato relativo all’identificazione dei rischi per la salute non era compilato in alcuna voce di rischio e, soprattutto, la sua esperienza nel settore delle manutenzioni era limitata a due mesi di attività. Circostanze che imporrebbero interventi normativi anche sul pur prezioso e utile ambito del lavoro interinale atti a evitare che persone inesperte vengano “catapultate” in condizioni di pericolo”.
Quel giorno infatti Maggi, appena giunto sul posto di lavoro, alle 7.45, viene subito mandato all’interno di una cabina di trasformazione del cementificio: l’incidente si verifica alle 8.05. La ditta aveva ricevuto l’incarico dall’azienda proprietaria del cementificio di realizzare una struttura atta a rimuovere il trasformatore trifase posto all’interno della cabina: come da sopralluogo effettuato il giorno precedente, il personale della ditta avrebbe dovuto visionare la parte sottostante del pavimento flottante togliendo alcune mattonelle e prendere le misure onde decidere la metodologia e realizzare eventuali strutture per la rimozione del trasformatore, programmata per il 16 agosto. Dionisio Trevisan, 69 anni, di Precenicco, dirigente e responsabile del cantiere, che doveva occuparsi del lavoro con Maggi (un altro collega era stato destinato ad altra attività), una volta tolte le mattonelle, ha ordinato al 37enne di iniziare a smontare le coperture del trasformatore, che risultava ancora sotto tensione, consegnandogli chiavi inglesi e un avvitatore elettrico specifici per la bulloneria dello stesso: operazione che però non solo Maggi ma nessun dipendente ditta avrebbe dovuto effettuare, in quanto la convenzione con la proprietaria del cementificio riguardava lavori unicamente di natura meccanica e i protocolli di sicurezza di quest’ultima prevedono l’intervento da parte della propria squadra di elettricisti ogni qual volta sia necessario compiere interventi anche ispettivi su impianti normalmente in tensione, come nello specifico. Sul trasformatore inoltre campeggiava una targhetta con su scritto “Prima di togliere le protezioni accertarsi che il trasformatore sia staccato dalla rete di alimentazione”.
Purtroppo Maggi, di fronte all’ordine impartito dal superiore, ha proceduto, e quando Trevisan, assentatosi per qualche minuto per chiedere un’informazione al responsabile della manutenzione meccanica della Buzzi, è tornato alla cabina, ha trovato l’operaio accasciato sul trasformatore con l’addome appoggiato sui radiatori. Inutili i tentativi di rianimarlo, anche da parte dei sanitari del Suem, subito allertati e sopraggiunti alle 8.32 dal pronto soccorso di Maniago, che hanno eseguito le manovre di rianimazione fino alle 9.26 e a cui non è rimasto che constatare il decesso.
Anche alla luce dei bulloni trovati già rimossi dalle piastre laterali del trasformatore, c’è voluto poco per concludere che Maggi, nello svitarli, sia entrato in contatto con parti in tensione elettrica che gli hanno cagionato una elettrocuzione fatale, con conseguente arresto cardiocircolatorio, come confermato dall’autopsia disposta dalla Procura e affidata a Barbara Polo Grillo: alle operazioni peritali, come consulente di parte per la famiglia, ha partecipato anche Elisa Polonia messa a disposizione da Studio3A-Valore Spa, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini a cui si sono affidati i familiari della vittima, attraverso il responsabile della sede di Udine, Armando Zamparo, e l’Area Manager Luigi Cisonna.
A fronte di tutte queste risultanze, il Pubblico Ministero della Procura di Pordenone, Federico Facchin, al termine delle indagini preliminari del procedimento penale per il decesso di Donato Maggi, ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di omicidio colposo aggravato per Dionisio Trevisan e per Aldo Bertoia, 51 anni, di Latisana, in quanto titolare di fatto e datore di lavoro, accusati di aver causato la tragedia “per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché violazione delle norme disciplinanti la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. A Trevisan, in particolare, si imputa di “aver adibito il lavoratore a svolgere un lavoro non elettrico in prossimità di parti in tensione”; a Bertoia “di averlo adibito a svolgere un lavoro in un contesto (una cabina elettrica) del quale disconosceva i pericoli potenziali nonché i rischi specifici che connotano i lavori di manutenzione impiantistica, nonché senza averlo informato e formato prima dell’avvio della mansione”.
Significativa, da parte del sostituto procuratore, la chiamata in causa nel processo anche dell’impresa in quanto soggetto giuridico, motivo che a maggior ragione avrebbe dovuto spingere la ditta e la sua assicurazione a dare un segnale di collaborazione e di volontà di risarcire il danno in vista dell’udienza preliminare del processo, fissata dal Gip del Tribunale pordenonese, Rodolfo Piccin, per il 15 giugno 2020. Ma in questi mesi, nonostante tutti i tentativi di Studio3A di trovare una soluzione stragiudiziale nell’interesse dei propri assistiti, dalla controparte sono arrivati solo dinieghi.