Inchiesta Covid, scambio di messaggi tra Silvio Brusaferro e il direttore di Udine Francesco Curcio.
Lo scambio di messaggi tra il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il direttore del dipartimento di medicina di laboratorio dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale, Francesco Curcio, durante i primi giorni dell’epidemia da Covid in Italia, è finito agli atti dell’inchiesta di Bergamo sulla gestione della pandemia in Val Seriana.
Il 22 febbraio del 2020, il giorno dopo la diagnosi del primo paziente infetto da coronavirus in Italia, Brusaferro si mostrava scettico sull’utilizzo dei tamponi a tappeto, affermando che “il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa”. Curcio, dal canto suo, si preoccupava dell’iperafflusso di richieste di test che rischiava di saturare i sistemi di accoglienza e quelli di diagnosi.
Nel corso dello scambio di messaggi, si decideva di effettuare i tamponi solo ai casi di sindrome simil influenzale e di sindrome da distress respiratorio acuto, escludendo quindi i soggetti asintomatici.
I tamponi.
Secondo quanto risulterebbe dalla relazione degli investigatori, i motivi per cui non si sia proceduto con tamponi a tappeto già allora troverebbe spiegazione nel fatto che non era stato previsto lo stoccaggio di tamponi e di reagenti, nè si era provveduto ad ampliare il numero di laboratori in grado di diagnosticare il Covid. Tanto che nelle prime settimane dell’epidemia i tamponi processati nei laboratori regionali dovevano essere trasmessi a Roma per la conferma da parte del laboratorio dell’Istituto superiore di sanità.
La polemica sull’utilizzo dei tamponi a tappeto era già scoppiata il 25 febbraio 2020, come affermato dal presidente dell’Iss in un messaggio in cui si chiedeva di proporre rapidamente una soluzione. L’inchiesta di Bergamo sulla gestione del Covid in Val Seriana continua ad indagare sulla risposta delle autorità sanitarie all’epidemia e sui possibili errori commessi nella gestione dell’emergenza sanitaria.