L’incidente mortale a Cavazzo.
Aveva provocato un incidente mortale quasi due anni fa. E oggi, per lei, è arrivata la condanna. G.C., 22 anni, di Tolmezzo, ha patteggiato la pena (sospesa) di un anno e quattro mesi, più la sospensione della patente per lo stesso periodo, davanti al giudice del Tribunale di Udine, Emanuele Lazzaro. La ventiduenne era imputata, e ora condannata, per omicidio stradale dopo aver causato il tragico incidente di cui è rimasto vittima l’incolpevole Massimiliano Pillinini il 16 settembre 2018 a Cavazzo.
Nulla potrà restituire il 47enne di Cavazzo Carnico, apprezzato dirigente delle Ferriere Nord di Osoppo ai suoi cari, ma i familiari, presenti in aula, hanno almeno ottenuto giustizia anche sul fronte penale: la figlia 19enne Valentina, l’anziana mamma Bianca e i fratelli Dario e Danilo, per essere assistiti, attraverso l’Area Manager e responsabile della sede di Udine, Armando Zamparo, si sono affidati a Studio3A-Valore Spa, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, e sono già stati pienamente risarciti sul piano civile.
Pillinini, quella funesta domenica, stava facendo un giro con la sua Ktm 690 Duke B3. Era in sella alla moto sulla Strada Regionale 512 e alle 10.25 si trovava poco fuori il centro abitato di Cavazzo, all’altezza dell’intersezione con via 4 Novembre. Ed è da questa laterale che l’imputata, alla guida di una Fiat Grande Punto a bordo della quale si trovava anche la figlioletta di due anni e mezzo, provenendo da Cavazzo Carnico, è uscita senza rispettare lo stop e, girando a sinistra verso Somplago per immettersi sulla Regionale, ha tagliato la strada al motociclista “per inosservanza delle norme sulla disciplina stradale, in particolare degli artt. 145 e 154 del Codice della Strada” come ha scritto il Pubblico Ministero titolare del fascicolo, Elena Torresin, nella sua richiesta di rinvio a giudizio. “Segnatamente – prosegue il provvedimento -, per aver omesso di dare la precedenza alla moto di Pillinini, che in quel frangente stava percorrendo la SR nell’opposta corsia di marcia e in prossimità del citato punto di intersezione, nonché per aver omesso di eseguire la manovra di svolta a sinistra con la massima prudenza e senza creare pericolo per gli altri utenti della strada, andando a collidere con il motociclo”.
Pillinini ha tentato di frenare per evitare l’ostacolo materializzatosi all’improvviso davanti a sé ma, pur procedendo a una velocità moderata, non ce l’ha fatta, andando a impattare contro la parte centro-anteriore della fiancata sinistra della Punto. Un impatto terribile. Il centauro è stato caricato sul cofano, ha sbattuto contro il parabrezza ed è stato sbalzato in aria rovinando sull’asfalto ad alcuni metri di distanza. A nulla è valsa la corsa disperata dell’elisoccorso partito da Campoformido che l’ha trasportato all’ospedale di Santa Maria della Misericordia di Udine, dov’è giunto in condizioni disperate, spirando alle 14: troppo gravi le lesioni riportate, in particolare un “trauma cranio-encefalico, toraco-addominale e traumi polifratturativi ossei” come è stato certificato dalla perizia medico legale.
Il pm Torresin, infatti, ha disposto sia l’esame autoptico sulla salma della vittima, incaricando come consulente tecnico medico legale Ugo Da Broi, sia la perizia cinematica per ricostruire dinamica e cause del sinistro, affidando l’incarico al perito Vito Toneatto: alle operazioni peritali hanno partecipato, come consulenti di parte per la famiglia della vittima messi a disposizione da Studio3A, anche il medico legale Elisa Polonia e l’ingegner Iuri Collinassi. Perizie, soprattutto la seconda, che hanno confermato quanto emerso da subito, che cioè l’incolpevole Pillinini è rimasto vittima di una fatale imprudenza altrui
Il Ctu infatti ha escluso qualsiasi concorso di colpa in capo al motociclista, “che procedeva, al momento della percezione del pericolo, a una velocità di 65 km/h, ben al di sotto del limite, che in quel tratto è di 90 (…) Non vi è alcuna condotta colposa del conducente della moto, a suo carico non si ravvisano alcuna inosservanza delle norme del codice della strada né negligenza, imprudenza o imperizia: non avrebbe potuto fare nulla per evitare l’incidente. La causa tecnica esclusiva del sinistro è riconducibile alla condotta di guida dell’indagata che, dopo essersi fermata sulla linea di arresto, si immetteva sulla SR 512 ottenendo di concedere la precedenza”. Conclusioni inequivocabili che hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio dell’automobilista e oggi alla condanna che chiude il doloroso capitolo giudiziario della vicenda.