Il secondino forniva telefonini ai carcerati.
È arrivata la convalida di arresto per un cinquantaquattrenne, l’assistente capo coordinatore della Polizia penitenziaria. L’accusa è di corruzione, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti. Ma le accuse non finiscono qui, c’è anche quella di detenzione di droga ai fini di spaccio. Nonostante questo il secondino non si trova in carcere, il gip ha disposto gli arresti domiciliari per la guardia carceraria, accogliendo l’istanza del pubblico ministero.
I capi di accusa.
Nello specifico la guardia penitenziaria è accusata di aver fatto arrivare ad alcuni detenuti del carcere di massima sicurezza di Tolmezzo telefonini e un modesto quantitativo di hascisc. Un’accusa che il secondino non ha negato, in sede di interrogatorio di garazia, durato poco più di un’ora, in cui ha ammesso le proprie responsabilità confermando la ricostruzione già fornita al magistrato, e mostrandosi collaborativo e addolorato per quanto accaduto. Le indagini però avevano già preso le prime mosse nel settembre del 2021, dopo che alcuni detenuti del carcere di Tolmezzo erano stati trovati in possesso di telefonini. Da qui sono scattati gli accertamenti tramite intercettazioni, sia ambientali sia telefoniche, che hanno permesso di arrivare all’assistente capo coordinatore della Polizia penitenziaria.
I fatti ancora da chiarire.
La vicenda arriva a un punto decisivo ma rimangono comunque molte zone d’ombra da chiarire. Una di queste è perché i detenuti abbiano scelto proprio il cinquaquattrenne come intermediario, che ha alle spalle una carriera trentennale nella Polizia penitenziaria. Ma oltre a questo, non si sa ancora chi decidesse i tempi di recapitazione della merce da introdurre in carcere.
Tra gli indagati ci sono anche i detenuti che hanno convinto la guardia a procurare i cellulari. Persone che per lo più sono condannate per reati associativi, alcuni vicini all’ambiente mafioso, e per questo sono assegnati all’alta sicurezza del carcere.