Chiusura di ristoranti e bar alle 18, danni per 50 milioni in Fvg. Mercoledì la protesta a Trieste

Danni per 50 milioni in Fvg con la chiusura di ristoranti e bar.

Il nuovo Dpcm del governo Conte continua a suscitare “mal di pancia”. Lo fa, in particolare, tra chi è titolare di un’attività – bar, ristoranti e le altre del settore – che con la chiusura imposta alle 18 denuncia una situazione non sostenibile.

Le categorie non nascondono i loro patemi. “Inevitabile l’effetto a cascata sull’agroalimentare delle chiusure anticipate dei locali, con conseguente crollo del fatturato per le attività di bar, gelaterie, pasticcerie, trattorie, ristoranti e pizzerie. Siamo molto preoccupati”. Così il presidente di Coldiretti Fvg, Michele Pavan, in riferimento al “mini-lockdown” per cercare di contenere la diffusione del coronavirus.

Una preoccupazione, quella di Pavan, che guarda soprattutto al canale “Horeca” (ospitalità) e al settore agrituristico. “Coldiretti nazionale stima in un miliardo di euro la perdita per le mancate vendite di cibo e bevande nel solo mese di applicazione delle misure di contenimento – sottolinea Pavan -. Una cifra che può tradursi sul nostro territorio in un deficit di una cinquantina di milioni appunto entro fine novembre. La drastica riduzione del lavoro della ristorazione e dei locali di pubblico esercizio peserà infatti negativamente sui consumi di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura, ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. Nello specifico di ittico e vitivinicolo, la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato”.

Quanto agli agriturismi, il presidente della Coldiretti Fvg pensa a un comparto che, con Terranostra Fvg, conta su 150 realtà associate, “aziende che all’inizio dell’emergenza hanno sopportato disdette dal 40% al 60% dei pernottamenti, poi hanno visto sfumare le prenotazioni per le cerimonie e, ora che queste erano nuovamente possibili, si ritrovano con la cancellazione di prenotazioni che impediscono qualsiasi ipotesi di recupero del fatturato perso”. Secondo i dati della Coldiretti nazionale, la spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi alimentari. Nell’attività di ristorazione sono coinvolte circa 330mila tra bar, mense e ristoranti lungo la Penisola, ma anche 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,8 milioni di posti di lavoro.

Mercoledì, alle11.30, scenderà in campo la Fipe Confcommercio per una forma di protesta. Lo farà in piazza Unità, a Trieste, dove si radunerà una cinquantina di operatori fra ristoratori e baristi, con un “contingente” in arrivo anche dal Friuli. “Ci raduneremo vicino a Prefettura e Regione nel nome dello slogan “Siamo a terra”, coniato dalla nostra associazione a livello nazionale. Analoghe manifestazioni sono previste in tutti gli altri capoluoghi di regione, oltre che a Bergamo” spiega Antonio Dalla Mora, presidente di Fipe Confcommercio provinciale di Udine. I partecipanti si ritroveranno apparecchiando il suolo con piatti e stoviglie capovolti, facendo capire quanto grave sia la situazione.

Le misure del governo non hanno senso – sottolinea Dalla Mora – e non racchiudono misure concrete di contenimento del Covid. La categoria si è molto spesa, nel vero senso del termine, per mettersi in regola con i protocolli e se qualche pubblico esercizio non ha rispettato le regole è giusto punire i singoli, e non tutti. Se il problema è la movida, inoltre, la questione non si risolve così. Bastava limitare il consumo in piedi, eliminandolo a una certa ora”. Secondo le stime di Fipe Confcommercio nazionale, in Italia dopo queste misure sarebbero a rischio 50.000 imprese, a rischio scomparsa, e 400.000 famiglie potrebbero ritrovarsi per strada.

“Penso ai ristoranti – chiude Dalla Mora -. La cena rappresenta oltre il 70% del fatturato settimanale. Chiudere alle 18 è una mazzata dalla quale è troppo dura riprendersi”.