L’incidente in cui è morto Francesco Maria Tomasso.
Ci sono voluti quattro lunghi anni e mezzo, ma alla fine la magistratura ha dato ragione ai familiari di Francesco Maria Tomasso e a Studio3A, che li assiste, chiamando in causa direttamente l’Anas. Il possente tiglio contro il quale il 34enne di Monfalcone, dopo aver perso il controllo della sua Fiat 600, si è schiantato, perdendo la vita, e che oggi infatti è stato tagliato, non ci doveva stare in quell’aiuola spartitraffico all’incrocio tra la Strada Statale 55, che la vittima stava percorrendo quel maledetto 25 luglio 2016, e la strada provinciale 13, a Savogna d’Isonzo. O, quanto meno, andava protetto.
A conclusione di una lunghissima fase di indagini preliminari, il pubblico ministero della Procura di Gorizia titolare del relativo procedimento penale, Paolo Ancora, ha chiesto il rinvio a giudizio per un alto dirigente dell’Anas, una funzionaria del Compartimento per il Friuli Venezia Giulia di Trieste ed una ingegnere triestina. Il Gup Flavia Mangiante ha fissato per il 20 aprile 2021, alle 10.30, in Tribunale a Gorizia, l’udienza preliminare.
All’indomani della tragedia, i congiunti della vittima erano subito stati tormentati da tanti interrogativi. Perché è vero che si è trattato di una fuoriuscita autonoma per una perdita di controllo dell’auto, di cui non si conosceranno mai le ragioni, ma è anche vero che con ogni probabilità le conseguenze sarebbero potute essere molto meno devastanti se Francesco Maria e la sua utilitaria non avessero trovato sulla loro strada quel possente albero che troneggiava nell’aiuola spartitraffico e da cui anzi debordava, invadendo parzialmente la carreggiata, senza che vi fosse alcuna protezione e a dispetto delle norme del Codice della Strada, che imporrebbero distanze minime delle alberature dal ciglio stradale o barriere protettive. Anche perché quello di Tomasso non era il primo veicolo ad essere finito contro quel tiglio e gli abitanti della zona avevano spesso segnalato il pericolo che rappresentava.